Nella sua sfrenata ambizione, tutta giocata su metodi macchiavellici (...il fine giustifica SEMPRE i mezzi?...) Renzi ha messo in atto un modo di far politica in stile "assalto alla dirigenza".
Un modo spaccone e violento, fatto di occupazione a tappeto di tutte le poltrone, poltroncine e strapuntini (vedi segreteria occupata militarmente in 18 ore); di insulti agli avversari (vedi Fassina, vedi Cuperlo); di berlusconiana intolleranza verso i metodi democratici (la "legge elettorale è o così o Pomì: si fa quello che dice lui, altrimenti si va al voto); di continui insulti e provocazioni a Letta; di ambiguo zig-zagare fra Berlusconi e Alfano; di esplicita volontà di liquidare una volta e per tutte i piccoli partiti; di menefreghismo nei confronti della sentenza della Corte Costituzionale (con la riproposizione di ciò che la corte ha esplicitamente bocciato); di occupazione militare dei media (credo che gli manchino ancora e solo le partecipazioni al "Grande Fratello", a "Ballando con le stelle" e a "Forum", ma è sempre in tempo a rimediare). Ai proclami della serie "Dio, perchè mi hai fatto così bravo" (...ho fatto più io in sette giorni che gli altri in tre anni; la legge elettorale si può fare in sette giorni; ho fatto più io in un mese che gli altri in otto anni; il "Jobs Act" sarà riempito di contenuti in 4 giorni; in quattro mesi di può fare la legge elettorale (...ma non era "in sette giorni"?), e cambiare la Costituzione. Per non parlare della violenza fatta per volontà di autoaffermazione, o peggio per ignoranza, portando un pregiudicato a discutere nei luoghi sacri alla memoria dei tanti che hanno ancora idealmente tatuata la faccia seria e triste di Berlinguer sul braccio sinistro...
Ora anche per Renzi è giunto il momento di dimostrare che non è il solito fuoco fatuo "tutto chiacchiere e distintivo", ma il compito è reso difficile dal livello esagerato di aspettative che è riuscito a creare negli adoratores, e dal livello elevato di inimicizie che si è creato nella "vecchia politica", che è seduta sulla sponda del fiume, in attesa...
Nell'articolo che segue, Marco Damilano analizza il percorso ad ostacoli di Fonzie nei prossimi 4/5 mesi. Un periodo breve in cui, avendo già raschiato il barile delle chiacchiere, dovrà passare agli "achievements", pena una caduta proporzionale solo alla velocità della salita sul suo carro di chi ha puntato sul ggiovane statista tutte le fiches. Significativo il fatto che negli ultimi giorni i toni si stanno "attenuando". Ultimo esempio? La legge elettorale nono è più "o così o Pomì", ma "se ce l'unanimotà, si può modificare".
E se non c'è l'unanimità, ma una determinante maggioranza contraria alle liste bloccate, o alle soglie di sbarramento concordate con Arcore, cosa fa? Spara ai dissidenti, che peraltro è difficile individuare da un voto segreto? Li polverizza con una battutaccia alla "Bischero di Frignano"? li soffoca sotto una coltre di tweet? Si dimette? E, just in case, questa sarebbe una minaccia o una promessa? Wait and see... Tafanus
Da oggi a maggio Matteo si gioca tutto. Tra Letta bis e riforme, il partito diviso e l'incognita voto segreto (di Marco Damilano - l'Espresso del 26/01/2014)
Ma come avete fatto a trovare l'erede di Berlusconi? Noi non ci siamo riusciti in venti anni», ha chiesto Mariastella Gelmini a Rosy Bindi dopo le prime uscite del neo-segretario del Pd Matteo Renzi. «C'è una differenza, dopo quello che è capitato a Gianni Cuperlo ho capito che in confronto a Renzi Berlusconi è buono». L'entusiasmo della parte avversaria, quella di Forza Italia «in profonda sintonia con noi», come ha detto il sindaco di Firenze dopo aver incontrato l'ex premier interdetto e decaduto nella sede di largo del Nazareno, è seconda solo allo sconcerto che il ciclone Matteo sta provocando tra gli alleati di governo, a Palazzo Chigi e nel suo partito.
Il sindaco-segretario prova a entrare nella storia: il ragazzo di Firenze che a meno di quarant'anni fonda la Terza Repubblica. Con la proposta di legge elettorale ribattezzata Italicum, proporzionale con un premio di maggioranza che scatta per chi conquista il 35 per cento dei voti, eventuale doppio turno tra i due schieramenti più votati nel caso che nessuno riesca nell'impresa, soglie di sbarramento e liste bloccate, e con un pacchetto di riforme costituzionali che va dall'abolizione del Senato elettivo alla revisione del titolo V sul federalismo. Un obiettivo da raggiungere senza badare ai mezzi: la spregiudicatezza, incontrare il Giaguaro di Arcore per mettere con le spalle al muro i partiti minori, a partire dall'Ncd di Angelino Alfano, la brutalità, la ferocia, nei confronti dei nemici ma anche dei critici interni al partito, da Cuperlo a Stefano Fassina, altro che lo stil novo lezioso e effimero cui sembrava ispirarsi il giovane sindaco negli anni dell'esordio politico, la rapidità di esecuzione che fa sembrare gli altri protagonisti inquilini del museo delle cere.
Sui tempi, sulla velocità delle riforme Renzi punta gran parte della sua credibilità e del suo futuro. Ha già convocato a raffica due direzioni del Pd, una sul lavoro e una sull'Europa, «tra quindici giorni, c'è già troppa carne al fuoco». E lo chef rischia di scottarsi. «Nei prossimi quattro mesi mi gioco tutto», ammette il leader. L'ingresso nella storia, la faccia, il consenso. Vediamo perché.
Prima casella: legge elettorale subito, il 29 gennaio in aula alla Camera. L'Italicum è nella commissione Affari costituzionali della Camera, l'esordio non è stato rassicurante, con le bordate arrivate dal ministro Gaetano Quagliariello (Ncd) e dal montiano Renato Balduzzi. E i numeri ballano anche nel Pd: su ventuno deputati in commissione, dodici sono su posizioni opposte a quelle di Renzi, tra loro Gianni Cuperlo, presidente dimissionario del Pd dopo il violento scontro con il segretario, la combattiva Rosy Bindi, il pasdaran dei bersaniani Alfredo D'Attorre, lo stesso ex segretario ora convalescente dopo il ricovero in ospedale. Un anticipo di quello che potrebbe accadere quando la legge arriverà la settimana prossima nell'aula di Montecitorio. La rivolta dei piccoli partiti, da Scelta civica a Sel alla Lega ai Fratelli d'Italia, contro la soglia di sbarramento del 5 per cento per accedere ai seggi, considerata troppo alta (secondo i sondaggi attuali entrerebbero in Parlamento solo Pd, Forza Italia e Movimento 5 Stelle), e contro le liste bloccate in nome del ritorno alle preferenze (le vogliono in pochi, in realtà, ma è un utile argomento per modificare la legge), la pioggia di emendamenti dei deputati grillini. E soprattutto l'incubo del voto segreto, previsto dal regolamento della Camera. In questa legislatura, e con i deputati del Pd tra cui ancora si annidano impuniti i 101 che eliminarono Romano Prodi dalla corsa per il Quirinale, sarebbe gioco facile per un altro partito (Forza Italia?) affossare la legge e poi dare la colpa ai democratici, sfregiando Renzi con l'accusa di non controllare le sue truppe. Tra gli anti-renziani non vedono l'ora.
Seconda casella: approvazione legge elettorale alla Camera e presentazione pacchetto riforme costituzionali. Nell'agenda Renzi la data cerchiata è il 15 febbraio, entro quel giorno il segretario vorrebbe cominciare a discutere nelle commissioni parlamentari dell'abolizione del Senato elettivo e la riforma del titolo V. Intanto c'è da riscrivere il patto di governo, il contratto di un anno di legislatura che il premier Enrico Letta vorrebbe sottoporre agli alleati entro il 29 gennaio. Alfano chiede un Letta-bis, un rimpasto o una nuova squadra con il coinvolgimento di ministri renziani, il leader del Pd rifiuta di farsi incastrare e continua a sparare alzo zero sulle «figure barbine» del governo.
Stop e rischio elezioni. Se la Camera dovesse far saltare il patto sulla legge elettorale a voto segreto il segretario ha già anticipato quale sarebbe la sua reazione: «Se qualcuno del Pd si presterà ai giochi a voto segreto, sappia che si aprirà una discussione non nel partito ma nel Paese, con conseguenze che lascio immaginare». La richiesta di un voto anticipato in primavera, di fronte a un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale e incapace di auto-riformarsi. Si andrebbe a votare con la legge riscritta dalla Consulta, proporzionale con voto di preferenza che piace tantissimo agli inquilini del Palazzo. Meno al Quirinale, che però potrebbe essere costretto a prendere atto del suicidio della classe politica.
Terza casella: elezioni in Sardegna. Il 16 febbraio si vota nell'isola, con il Pd in difficoltà dopo il ritiro di Francesca Barracciu e la candidatura di Francesco Pigliaru. Finora Renzi non ha mai messo piede in Sardegna, ma per il suo Pd è il primo test elettorale. Lo stesso giorno tornano i gazebo, per votare con le primarie i segretari regionali del Pd. Un'altra occasione di conta interna.
Quarta casella: approvazione definitiva legge elettorale. Prevista per metà marzo nell'aula del Senato. Qui i numeri sono più risicati, aumenta il potere di contrattazione dei piccoli partiti, ma in compenso il voto è palese ed è difficile rimettere in discussione una legge già votata dalla Camera. Se però l'accordo dovesse saltare sarebbe impossibile andare alle urne il 25 maggio con un voto anticipato: tempo scaduto, finestra elettorale chiusa.
Quinta casella: approvazione in prima lettura del pacchetto riforme. «Non possiamo andare alle elezioni europee senza risultati, resteremmo incastrati da Grillo sul fallimento delle riforme». La grande paura del giovane Renzi, una campagna elettorale in cui lui, «uomo di frontiera», come si auto-definisce, resta intrappolato nella palude, una posizione che mette a rischio la possibilità di fare un buon risultato alle europee del 25 maggio. In caso di approvazione delle riforme, il segretario andrebbe a una campagna elettorale tutta giocata all'attacco dell'elettorato grillino. Con un solo refrain: ho riformato io la politica, altro che Grillo.
Sesta casella: elezioni europee e amministrative. Coinvolgono il leader del Pd in una doppia sfida personale. Renzi è ricandidato a Firenze per un secondo mandato da sindaco, che vorrebbe conquistare al primo turno. E affronterà la prima campagna elettorale nazionale per il rinnovo del Parlamento europeo, un appuntamento tradizionalmente a rischio per il Pd: nel 2009 guidato da Dario Franceschini si fermò al 26 per cento, quasi lo stesso risultato delle elezioni politiche raccolto dal Pd di Bersani nel 2013. Difficile fare peggio, ma l'obiettivo del Pd di Renzi è avvicinarsi il più possibile a quota 35 per cento, quella che nella nuova legge elettorale Italicum garantisce un premio di maggioranza del 18 per cento.
Settima casella: seconda lettura delle riforme. Il passaggio finale, previsto per ottobre, l'happy end della legislatura che permetterebbe a Renzi di candidarsi a Palazzo Chigi con nuove elezioni in veste di padre costituente. Sempre che l'infernale gioco dell'oca della politica italiana non costringa Matteo il Ricostituente a ritornare alla casella del via.