Alla misteriosa morte sopravvisse la sua leggenda. Perché Matthias Sindelar, suicidatosi, eliminato dalla Gestapo o forse tradito da una stufa difettosa, fu molto più che un semplice calciatore.
Nato Matěj Šindelář il 10 febbraio 1903 a Kozlov, in Moravia, diventa Matthias quando la sua famiglia si trasferisce nel distretto di Favoriten, situato nella parte meridionale di Vienna. Qui cresce, inseguendo – scalzo – un pallone di stracci, sino alla morte del padre (caduto sull’Isonzo nel ’17) che obbliga lui e le sue tre sorelle a dare una mano nella lavanderia materna.
Ma i panni sporchi sono costretti a farsi da parte dinanzi al suo indiscusso talento. Il pallone non è che un umile esecutore delle volontà dei piedi fatati di questo prodigio del football, la cui tecnica può essere comparata esclusivamente alla sua magrezza. Esile, lo soprannominano «der Papierene», liberamente tradotto come «Carta velina». Ma a dispetto di quest’apparente fragilità fisica, Sindelar si rivela tutt’altro che facile da mandare al tappeto: nel 1925, il malandato ginocchio destro lo costringe all’asportazione del menisco, che all’epoca significava trovarsi un lavoro perché col calcio avevi chiuso; lui invece, sottoponendosi ad una dura terapia riabilitativa, diventa il primo calciatore a tornare in campo dopo tale intervento.
E così, con il ginocchio destro per sempre fasciato, Sindelar ricomincia ad incantare le folle. Gioca nell’Austria Vienna, dopo aver esordito con l’Herta – altra squadra cittadina, oggi scomparsa, che scovò «Carta velina» tra le polverose strade della capitale austriaca. Ma Sindelar, che mai svestirà la maglia biancoviola nonostante le pressanti richieste provenienti dall’estero, esprime massimamente le proprie doti nel Wunderteam. Ovvero la Nazionale austriaca che, guidata da Hugo Meisl, impone il proprio dominio sull’Europa del calcio tra il maggio 1931 ed il febbraio del ’33.
Il primo assolo di questa squadra epocale è datato 16 maggio 1931. A Vienna, proprio in casa di Sindelar, la Scozia – all’epoca squadra temibile, tra le poche ad avere l’onore di confrontarsi frequentemente con i maestri inglesi – soccombe: 5-0 è il risultato finale. La critica si spacca, c’è chi grida al miracolo e chi invece capisce immediatamente di trovarsi dinanzi ad uno dei più grandi ingranaggi calcistici di cui la storia sia stata sin lì testimone. Disposta secondo il consueto metodo, la squadra di Meisl prevede due terzini piuttosto larghi (Schramseis a destra, Blum e poi Sesta a sinistra) davanti al portiere Hiden; Hofmann è il centromediano, Braun, Gall, Mock e Nausch i mediani, ed in attacco largo all’estro delle ali Zischek e Vogl e degli interni Gschweidl e Schall. Centravanti e stella più splendente è Matthias Sindelar, che Meisl definisce «il Mozart del calcio», descrizione tra le più calzanti: Sindelar, infatti, è il simbolo calcistico di Vienna, la «città dei musicisti» dove oltre altro stesso Mozart incantarono con le note e non con il pallone di cuoio celeberrimi artisti quali Beethoven, Salieri, Schubert, Vivaldi e Brahms.
Con il Wunderteam, la squadra delle meraviglie, ecco quindi le sue più soavi melodie. Contro l’Italia, in un incontro valevole per la Coppa Internazionale 1931-1932 poi vinta dagli austriaci, «Carta velina» segna i due gol che regalano il successo ai suoi vanificando il prodigioso gol di Meazza. Un mese più tardi, nell’aprile 1932, l’Ungheria – che non è ancora l’Aranycsapat di Puskás ma resta pur sempre una delle più grandi squadre europee – viene annichilita: 8-2, Sindelar segna tre gol e dispensa cinque assist. La sua massima prodezza con indosso la maglia biancorossa dell’Austria, però, risale probabilmente alla trasferta inglese del dicembre ’32. Si tratta di una sconfitta, l’unica subita dal Wunderteam in quindici partite disputate, ma la nobiltà degli avversari conferisce enorme prestigio all’incontro, e Sindelar lo impreziosisce con uno slalom – senza sci ma con il pallone incollato al piede – che lo conduce dal centrocampo al gol.
Morto con Hugo Meisl, il 17 febbraio 1937, il Wunderteam, Sindelar si ritrova a duellare con il più ostico e scorretto degli avversari: il nazismo. Eppure «Carta velina», debole di fisico ma assai forte caratterialmente, sceglie di affrontarlo a testa alta. È il 3 aprile 1938, a Vienna si disputa l’«Anschlussspiel», la «partita della riunificazione» tra Austria e Germania che «celebra» l’Anschluss. Il «Prater» è gremito, per dare l’addio alla Nazionale austriaca – che pure si è qualificata agli imminenti mondiali di Francia – e salutare la nascita di una Germania del calcio in apparenenza destinata a dominare, in Europa e nel mondo, grazie all’innesto dei calciatori austriaci. I gerarchi nazisti, che si attendono un trionfo, si ritrovano inaspettatamente a fare i conti con due coraggiosi oppositori: Sindelar ed il suo fedele compagno di squadra Karl Sesta. Sono loro a marcare le due reti che regalano all’Austria l’ultima vittoria, ma i gol più belli li segnano al termine dell’incontro, negando il saluto nazista ai gerarchi presenti in tribuna.
Antonio GiustoFonte: Guerin Sportivo.it