Mauritania: il più bel luogo che probabilmente non visiterai

Da Ragdoll @FotoComeFare

“Il paese è sotto una grave minaccia terroristica e questo comprende la possibilità di rapimenti. Gli attacchi possono essere indiscriminati e avvengono anche in luoghi frequentati dagli stranieri. Se decidete di viaggiare in Mauritania fatelo con estrema cautela. Se siete in Mauritania cercate di evitare qualsiasi trasporto locale non strettamente necessario.”

Questi avvisi, trovati sui siti che parlano di sicurezza dei viaggi all’estero del governo australiano e di quello inglese, mi hanno fatto pensare: “Dove diavolo sto andando? Non potrei limitarmi a caricare l’auto su un qualche treno per il Senegal o attraversare di corsa il paese in un solo giorno?”

I mass media e annunci di questo tipo possono generalizzare la situazione di un’intera nazione e farla sembrare incredibilmente pericolosa, anche quando non lo è. Ho svolto da solo alcune ricerche e ho concluso: dovrei andare, vedere con i miei occhi. E seguire i miei istinti, scappando il prima possibile nel caso dovessi notare qualcosa di strano.

Il mio viaggio in Mauritania è stato una sorpresa. O meglio: è stato fantastico come lo avevo immaginato, e la sorpresa è stata proprio quella. È stato un viaggio sicuro? Lo è stato per me. Questo significa che raccomando a tutti di visitarla? No.

Mi sono imbattuto per caso in un gruppo di militari francesi, stanziati in Mauritania per monitorare gli eventi. Mi hanno riferito che tutta la regione di Adrar, dove ho trascorso la maggior parte del tempo, è una zona rossa, nel senso di “zona in cui non andare“. Hanno detto che sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa in qualunque momento. I cattivi erano da qualche parte all’interno del paese e avrei dovuto evitare di fermarmi in qualsiasi luogo più di un giorno, per non dargli la possibilità di sapere dove fossimo e di scovarci.

Alla fine, sono stato cinque giorni nella città di Oudane, perché mi è piaciuta moltissimo e mi sono soffermato a visitare i villaggi che la circondano. Non mi sono mai sentito minimamente in pericolo, il che non significa che non potesse succedere niente.

Al contrario, la possibilità c’era e alcune persone si lasceranno scoraggiare dagli avvisi sulla sicurezza dei viaggi e dal pensiero che possa succedere loro qualcosa. Va bene. Come dice il titolo del post, si perderanno un paese veramente bellissimo, ma la vita va avanti lo stesso.

A riguardo la mia opinione è molto semplice. Può succedere qualsiasi cosa a chiunque, in ogni luogo. Venire investiti da un’auto è un pericolo molto comune nella maggior parte del mondo civilizzato e sicuro. Alcuni miei amici sono stati aggrediti e derubati in Australia. C’è anche la possibilità di essere colpiti da una malattia mortale.

È davvero una questione di fortuna. Non andrei in un’area di guerra, ma non mi ossessiono troppo nel trovarmi in una zona dove i terroristi sono 500-1000 chilometri più in là. Oltre le strade che attraversano il deserto, per di più. Comunque, passiamo alle foto.

Ho iniziato facendo fotografie nella capitale, Nouakchott. Una città drammatica, con strade congestionate, un’architettura sgradevole e mercati pieni e dinamici: il che è risultato, nonostante tutto, piuttosto affascinante.

A Nouakchott c’è un approdo dei pescatori vivace e animato: qui ogni sera arrivano le barche e c’è un gran fermento. I pescatori svuotano le piroghe dall’acqua e combattono contro le onde, mentre spingono di nuovo le loro barche verso il mare.

Quando il mare è mosso è difficile raddrizzare la barca e farle rimettere di nuovo la testa fuori. Qui il capitano della barca sta chiedendo aiuto per riuscirci.

L’equipaggio della barca si carica sulla testa casse cariche di pesce. L’acqua, intrisa del sangue dei pesci, cola sui loro volti e sui loro corpi. I bambini si azzuffano per raccogliere i pesci che cadono. Le donne del mercato seguono i pescatori per comprare il pescato finché è fresco.

Molti pescatori sono dell’etnia Wolof. Ne ho incontrato uno che parlava spagnolo (io non so il francese: la lingua più diffusa in Mauritania, insieme alle varie altre lingue locali). Mi ha detto: “È un lavoro di merda!”. Ho provato a consolarlo: “Ma voi ragazzi siete così forti nell’andare là fuori sul mare!”. Mi ha risposto: “Sì, c’è così tanto pesce, e questa gente (i mauritani) non sa pescare. Non vogliono farlo, non hanno le palle per farlo!”

Usare un asino per caricare il pesce sulla spiaggia credo sia qualcosa di molto tipicamente mauritano.

Le famiglie dei pescatori e i pescivendoli organizzano in tutta fretta un “punto vendita” sulla spiaggia, per commerciare il pescato.

Alcuni dei pesci più piccoli e meno desiderabili vengono raccolti in una zona dove vengono pesati, e gli acquirenti li comprano a peso. Questa donna non era contenta di quel che le è stato dato. Mi hanno detto che il pesce nel grande contenitore poi sarebbe stato usato come cibo per animali.

Dopo alcuni giorni trascorsi nella capitale volevamo provare ad affrontare qualche avventura. Ci siamo diretti verso Adrar, la regione definita “zona rossa” dagli amici delle milizie francesi. Come ho detto, non mi sono mai sentito in pericolo, ma lungo la strada abbiamo incontrato alcune tempeste di sabbia. Visioni come questo scheletro di automobile sono diventate scene ricorrenti.

Ad Atrar, il capoluogo di Adrar, abbiamo trovato una guida locale. Un giovane piacevole chiamato Alioune. Mentre parcheggiavo vicino a una rotonda mi ha chiesto se avevo bisogno di una guida.

Di solito non scelgo mai le guide che mi si propongono in questo modo, perché spesso non sono altro che truffatori o persone che cercano di ingannare gli artisti, ma ho voluto credere al mio istinto. Sembrava onesto e rispettabile e ho avuto ragione. È diventato la mia chiave per entrare in contatto con gli abitanti dei villaggi, un ponte fra me e loro.

Durante il nostro primo giorno insieme, siamo stati invitati in una casa piena di donne provenienti da famiglie semi nomadi. Erano molto allegre. Una di loro ha chiesto se Tanya e io fossimo sposati. Abbiamo risposto “Sì”.

Hanno pensato fosse un ottimo motivo per dipingere le sue mani con l’henné e fare una piccola festicciola. Immagino avessero solo bisogno di una scusa per divertirsi un po’. Hanno trasformato secchi di plastica in tamburi improvvisati e presto le donne si sono alzate e si sono messe a danzare in un modo che non assoceresti a una società conservatrice.

Temevo che questo momento sarebbe arrivato ed è successo. Dopo aver ballato per un po’, le donne ci hanno detto: “Ok, adesso ballate voi!”. Volevano che Tanya si alzasse, ma era troppo timida per farlo. Volevano che le intrattenessimo, così mi hanno indicato. Alioune mi ha dato il suo bu-bu, l’abito tradizionale che si usa in Mauritania, e così mi sono trovato a soddisfare il pubblico rendendomi ridicolo. Sembra che abbiano gradito e presto si è aggiunta a me anche Tanya.

Abbiamo visitato vari villaggi e abbiamo fotografato alcune persone che erano nelle loro case o in giro. Anche questo signore appartiene a una famiglia semi nomade. Si stava riparando dal Sole e dalla sabbia con il suo bu-bu.

Mentre ero in albergo a Atar, ho visto alcuni libri illustrati con bellissime immagini della Mauritania. Una cosa che mi ha colpito è stata un’immagine di un bambino in una scuola coranica. Ho saputo che c’erano alcune di queste scuole a Chinguetti, così ho chiesto ad Alioune di portarmi a vederne una. Chinguetti una volta era un luogo turistico: i bambini si ricordano ancora della quantità di turisti che giravano per la loro città e, per questo motivo, con me erano disinvolti.

La ragazza in giallo continuava a coprirsi il viso con la tavoletta di legno, poi si scopriva e faceva le boccacce. Ho giocato anche io con lei e ho aspettato il momento in cui ha smesso di fare smorfie e si è scoperta il volto. Durante tutto questo ci sono state molte risatine, e prima di andarmene ho ottenuto una mano agitata in segno di saluto e un pollice levato verso l’alto.

Quando i bambini studiano gli estratti del Corano, o quando hanno finito per quel giorno, lasciano le loro tavolette di legno in una stanza comune. Questo ragazzino si è fermato dopo aver poggiato la sua tavoletta. Gli ho chiesto di bloccarsi per un attimo e ho ottenuto quest’immagine.

Da Chinguetti ci siamo spostati a Oudane: una piccola città di cui mi sono innamorato. Per la prima volta nell’intero viaggio mi sono, infatti, ricordato del perché amo viaggiare. Cioè perché mi piace condividere quello che riguarda me e il mio mondo con gli autoctoni che ne hanno curiosità.

Non ne ho incontrato nessuno in Marocco e non ne avevo ancora incontrato nessuno in Mauritania. Alla fine, qui, in un luogo remoto, siamo stati accolti da dozzine di ragazzini curiosi che si sono messi a chiedere della mia squadra di football preferita, di cosa ne pensassi della Mauritania e così via.

Uno dei ragazzi, il sedicenne Mohammed, si è fatto notare in particolar modo. Secondo me era un genio borderline. Il ragazzino sapeva di Einstein, Stalin e Hitler. Disegnava mappe dei diversi continenti per imparare meglio dove si trovino le più diverse nazioni e in generale era molto avanti.

Ha detto di aver piantato alcuni alberi nuovi nel palmeto della sua famiglia. Gli ho detto che probabilmente la sua vita non sarebbe stata abbastanza per vederli crescere del tutto, al che mi ha risposto: “Va bene, sto pensando alle generazioni future, non solo a me”. Se hai viaggiato per l’Africa, saprai che questa è una risposta decisamente non comune.

Durante i miei viaggi, mi è stato detto quasi sempre “no” alle richieste di fotografare per strada. È stata quindi una pausa molto apprezzata il sentirmi rispondere: “Perché no?” a Oudane, quando l’ho chiesto a questi uomini che stavano giocando ad un gioco tradizionale mauritano simile alla dama.

La sera stessa del nostro arrivo c’è stata una piccola tempesta di sabbia a Oudane. All’improvviso, il cielo si è fatto fosco e tutti sono corsi via a cercare riparo. Avrei voluto essere più consapevole dell’opportunità che mi si è presentata e aver fatto più fotografie di quel che è successo.

Durante il tempo passato a Oudane abbiamo incontrato Mohammed Mbarak, un uomo che ha aperto un panificio locale qualche anno fa. Ha costruito il forno a memoria, cercando di ricordare come l’aveva visto costruire durante la sua visita a Nouakchott. Ben presto, la maggior parte della città ha iniziato a comprare il pane da lui.

Ora Mohammed non fa più il pane: il suo business ha avuto talmente tanto successo da permettergli di concentrarsi sui lavori di casa e sul suo giardino, che si trova ad alcuni chilometri da Oudane. Dopo aver preso un tè con Mohammed gli abbiamo dato un passaggio fino al suo giardino.

Gli asini sono ancora usati per i trasporti in molte situazioni in Mauritania. Uno dei compiti più comuni è quello di trasportare l’acqua, il che avviene di solito di mattina. L’acqua viene consegnata a questo villaggio con un grosso autocarro, dato che nei dintorni non ci sono pozzi. L’intero villaggio accorre, ognuno con i suoi asini, e tutti prendono la loro razione.

Questa bambina è la sorella dell’uomo con gli asini, lo ha assistito nello scaricare le taniche piene d’acqua. Era sospettosa e nel contempo curiosa di sapere chi fossi. Così, quando mi sono avvicinato a lei con la fotocamera, non è scappata come fanno molti bambini. Invece ha guardato dritto in camera. Il vento ha mosso i suoi capelli e io ho ottenuto quest’immagine.

La cosa bella dell’area intorno a Oudane è che i villaggi sono per lo più incontaminati. Non ci sono le solite richieste per ottenere cadeaux (regali) da parte di bambini petulanti e viziati. Questo, per esempio, succede in molte parti del Marocco e nelle città più turistiche, come Chinguetti.

Qui la gente vive indipendentemente dal turismo. Non sanno cosa aspettarsi dagli stranieri, quindi si comportano normalmente, così come sono. Non hanno neanche l’approccio stranamente negativo alla fotografia che ho visto così spesso durante questo viaggio: per questo motivo, quando ho chiesto alla donna se potessi fotografarla mentre faceva le sue faccende quotidiane, mi ha risposto: “Certo”. Qui sua figlia la sta aiutando a catturare un cucciolo di capra, che doveva essere tirato fuori dal recinto e messo vicino alla madre per essere nutrito.

Passeggiando per i villaggi incontri dei personaggi veramente fantastici. Hanaan (che più tardi ho scoperto significare Misericordioso) è uno di questi. Ho visto lui e la sua famiglia ripararsi sotto un capanno e, quando ci siamo avvicinati, siamo stati invitati a prendere un tè. Hanaah ha uno di questi volti incredibili, molto stoico e serio. È quasi intimidatorio finché non sorride e, in quel momento, appare affascinante e quasi goffo.

Hannah è un vero nomade: è venuto al villaggio per l’estate, come fanno la maggior parte dei nomadi durante questo periodo. Il villaggio è un’oasi, c’è acqua a volontà ed è la stagione dei datteri, un evento importante in Mauritania.

Ho detto a Hanaan che una volta potrei tornare a visitare il suo insediamento nomade. Mi ha chiesto di portare un binocolo, dicendomi che l’avrebbe comprato. Più tardi ho saputo che avere un binocolo è praticamente il sogno di ogni nomade. Li usano per tenere d’occhio i loro cammelli da lontano.

Ecco un altro grande personaggio. Il nome di quest’uomo è Selim. Stava chiacchierando con il proprietario del negozio e imbastendo una compravendita, quando siamo entrati e gli abbiamo chiesto di poterlo fotografare. Ho fatto alcuni scatti.

Alla fine ha detto: “Ok, ora mi dovete pagare”. Siccome è una richiesta comune, sentita altre volte prima di venire in Mauritania, mi sono fermato e ho pensato: “Eccoci di nuovo, dove l’avrà imparato?”. Non appena ho concluso il mio pensiero ha sorriso e la mia guida ha detto: “Sta scherzando!”. Per Selim l’idea di farsi pagare per una fotografia è così assurda che ha pensato sarebbe stato uno scherzo divertente.

Durante il tempo trascorso in Mauritania ho sviluppato un certo interesse nel fare fotografie alle scuole coraniche, che sono chiamate Mahadara. Non invece alle Madrasa, nome che indica le scuole comuni.

Qui gli studenti devono memorizzare brani del Corano. Li cantano finché non li imparano a memoria. L’insegnante ascolta e corregge quelli che pronunciano male le parole. A quanto pare alcuni bambini memorizzano l’intero Corano entro la prima adolescenza.

Le Mahadara sono scuole per bambini e bambine. In alcuni casi maschi e femmine sono seduti in stretta prossimità, in altri sono più isolati. Ad ogni modo, è stato un cambiamento piacevole rispetto alle strettissime restrizioni di genere che ho visto in Marocco.

Una bambina recita la sua tavoletta di legno nel cortile di un Mahadara.

Alcune sessioni di recita del Corano possono diventare piuttosto intense. Qui Mohammed, il bambino geniale e curioso, ha deciso di accompagnarci al Mahadara della sua città e si è messo a incoraggiare gli altri bambini a recitare con tono più forte e chiaro. Io sono stato tutto il tempo a fare fotografie. Puoi trovare altre informazioni su quest’immagine qui, sulla mia pagina Facebook.

Ad un certo punto, quando i bambini hanno imparato il testo scritto sulla tavoletta, viene lavato via l’inchiostro e l’insegnante scrive un nuovo testo da memorizzare.

Quando la sessione di apprendimento mattutina si è conclusa e l’insegnante è uscito, gli ho chiesto di fermarsi per potergli fare un ritratto. Questo ragazzo (l’insegnante), di solito sembra molto serio e in un certo senso quasi minaccioso. Immagino che questo sia voluto, almeno nel rapporto con gli studenti. Gli insegnanti devono essere presi molto seriamente. Al di fuori della classe sono molto più spensierati e a volte si lasciano persino sfuggire un sorriso.

La polizia è andata incontro ai dimostranti con del gas lacrimogeno, così, insieme ad un nuovo amico, abbiamo aspettato nell’atrio di un hotel di lusso. Dentro l’hotel abbiamo incontrato un businessman siriano dall’aria interessante, che stava scappando da un conflitto nel suo paese. Abbiamo parlato brevemente e, di nuovo, visto che avevo la fotocamera con me, ho pensato: perché non chiedergli di fargli una fotografia?

Qui puoi vedere come ritorni a galla sempre lo stesso tema. Avere sempre con te una fotocamera adeguata ti dà l’opportunità di fare fotografie di cose che altrimenti potresti non avere la possibilità di fotografare in altri modi. In un certo senso espande i tuoi orizzonti fotografici e quest’idea mi trova sempre d’accordo.

All’improvviso la musica è finita e sono tornati tutti verso casa.

Ma la festa è continuata la sera, con un grande ritrovo a casa di qualche abitante del villaggio. Altre danze, altri canti, altra gioia. Ho avuto la fortuna di essere invitato, perché alloggiavamo in una pensione dove la proprietaria, una donna di nome Zaida, era amica della coppia che si sarebbe sposata.

Penso che, per via di quel che vediamo in televisione, molti di noi occidentali associno l’Islam con la repressione. Niente alcool, niente musica, niente divertimento. Di certo non c’è alcool. Ma le danze, i canti e le celebrazioni che hanno fatto sono state alcune delle più esuberanti che abbia mai visto.

Dopo la notte del matrimonio, abbiamo lasciato Oudane  e ci siamo diretti verso l’oasi di Tanouchert. Ci hanno raccontato che, quando c’era turismo, passavano attraverso il villaggio cinquanta turisti al giorno. Posso solo immaginare come potesse essere allora e quante stilo (penne) e cadeaux (regali) venissero lasciati lì.

Ironicamente, proprio l’assenza di turismo (che è ciò che vogliono i villaggi) è quel che li rende così attraenti in questi giorni. Le persone sono normali, i bambini non ti infastidiscono chiedendoti insistentemente oggetti: è fantastico. In un mondo ideale, i villaggi sarebbero così pur avendo intorno i turisti. Sino ad allora mi godrò ciò che trovo.

L’immagine sopra è la scena che abbiamo visto subito dopo essere arrivati. Un uomo e una donna aspettano per poter usare il telefono pubblico. Non c’è campo per i cellulari, quindi l’unico modo di comunicare al di fuori dei villaggi è andarci di persona o usare il telefono pubblico. A volte è fantastico essere in posti isolati.

Il mattino seguente ci siamo svegliati con una sorpresa: dozzine di cammelli erano raccolti intorno a un pozzo. I nomadi passano dall’oasi per procurarsi l’acqua per gli animali. Una delle comodità della modernità è che oggi i nomadi portano a volte con sè, su uno dei cammelli, delle pompe per l’acqua alimentate a diesel. Invece che tirare su l’acqua manualmente, la pompano per riempire un piccolo abbeveratoio.

In ogni momento, quando cammini per un villaggio piccolo come Tanouchert capiterà di imbattersi in numerosi inviti a prendere un tè. Ne ho approfittato, ho bevuto il mio tè e ho fatto fotografie.

Durante uno di questi inviti, Mimouna, una ragazza appartenente ad una famiglia semi nomade, è entrata nella capanna dei suoi vicini. Io aspettavo il tè, lei aspettava il suo amico, perciò mentre entrambi aspettavamo ho fatto la fotografia.

Ecco come appare una strada a Tanouchert. La mattina tutti percorrono queste strade, quindi ho scelto questo momento per scattare fotografie.

Il mattino dopo il nostro arrivo abbiamo incontrato un uomo molto amichevole e allegro chiamato Bugia. Era a Tanouchert in visita, e tutti sembravano provare un grande rispetto ed affetto per lui. Non aveva molto da fare, perciò si è unito a noi e abbiamo vagato un po’ insieme, parlando alle altre persone del villaggio e aiutandole come potevamo.

I mauritani amano i loro datteri e l’estate è la stagione dei datteri. Invece che dirigersi verso la costa, dove la temperatura è decisamente più bassa, la maggior parte della popolazione si spinge verso il deserto, in direzione dei loro palmeti nelle oasi, dove le temperature possono arrivare fino a 50°C!

Bugia in realtà è un nomade, ma, come la maggior parte delle persone del paese, durante l’estate si ferma nelle oasi o lì vicino. Lascia i suoi cammelli a un altro nomade, un custode provvisorio, e si sposta in un piccolo insediamento non lontano dall’oasi. Ha un palmeto a Tanouchert e, man mano che invecchia, pianifica di costruire laggiù anche una casa.

Bugia sotto una delle sue palme. Se ami i datteri, questo è definitivamente il posto giusto dove trovarti.

Hassan, in bianco, è un altro con cui abbiamo fatto amicizia a Tanouchert. Hassan è un vero nomade: anche lui si ferma per l’estate. Di solito viaggia con la sua carovana dalla Mauritania all’Algeria e a Mali, attraverso il deserto, senza passare per i confini ufficiali. Hassan ci ha invitato per il tè e abbiamo passato del tempo con lui e la sua famiglia.

I figli di Hassan e i loro vicini escono per radunare le pecore a una certa ora della sera. Le dune di sabbia sono molto divertenti per i bambini. Ci si rotolano dentro e corrono sulla sabbia, mentre agli adulti come me semplicemente mancano le energie per farlo.

Il nostro ospite, il capo del villaggio (con le mani insanguinate) si è offerto di preparare il suo piatto più famoso, il mishui, appositamente per noi. Abbiamo solo dovuto pagare per la capra. È significativo, trattandosi di un villaggio, che l’abbiano dovuta uccidere. Amo gli animali, quindi per me è difficile fotografare cose come questa, aspetto fotografico a parte. Ma è così che viene fatta la carne, se siamo abbastanza fortunati da mangiare quella non geneticamente modificata.

La capra era grande abbastanza da farne due pasti. Abbiamo invitato a cena i nostri due nuovi amici, Bugia e Hassan, e un amico del capo villaggio. La capra è stata accompagnata da couscous e pane tradizionale, che nell’immagine stavano ancora cuocendo.

Dopo alcuni giorni a Tanouchert il vento è aumentato e ha iniziato a volare la sabbia. A 43°C e con quel vento caldo misto a sabbia era giunto per noi il momento di lasciare il deserto. Siamo tornati a Chinguetti mentre il vento stava ancora soffiando. Abbiamo visto un gruppo di persone: un uomo, una donna e due ragazzi con degli asini e taniche dell’acqua.

Ho fermato la macchina e Alioune ha chiesto se potessi fare delle fotografie. L’uomo ha risposto che non c’era problema, ma subito dopo ha chiesto: “Potete dare a me e mio figlio un passaggio fino a casa?”. “Certo!”, ho risposto, sperando di poter fare loro ancor qualche fotografia sugli asini. Invece si è messo a scaricare velocemente le taniche d’acqua dai due asini ed è scomparso.

Poi è venuto fuori che solo uno dei due ragazzi era suo figlio, mentre la donna e l’altro ragazzo erano suoi conoscenti, persone da cui ha preso in prestito gli asini per trasportare l’acqua. L’uomo è corso dietro a suo figlio: li puoi vedere in questo scatto mentre camminano attraverso una tempesta di sabbia. Lo abbiamo aiutato a caricare qualcosa come 100 litri d’acqua sulla nostra aiuto e ci siamo avviati verso casa sua.

L’uomo che abbiamo aiutato si chiama Abdullah. Ovviamente ci ha invitato a prendere il tè nella sua capanna, dove vive con le sue quattro figlie e suo figlio. Questo è il bambino, che guarda con curiosità attraverso la porta della capanna, con il vento che soffia ancora forte e la sabbia che s’infila dappertutto.

Si potrebbe dire che questi nomadi e semi nomadi si approfittano degli altri, tuttavia, a differenza di quelli che trovi nelle città più grandi o nelle aree che pullulano di turisti, questi ragazzi sono molto diretti e le loro richieste di aiuto, di ogni genere, sono umane e ragionevoli.

Vedendo che avevo un’auto Abdullah mi ha chiesto se potessi portarlo a un pozzo, per raccogliere altra acqua. Il pozzo è a circa 5 km dalla sua capanna e ci sarebbero volute alcune ore sull’asino per andare e tornare. Con l’auto si trattava di una questione di minuti. Ho accettato di portarlo laggiù, ho fatto altre fotografie lungo la via e mi sono rinfrescato con un paio di secchi d’acqua fredda.

Un ritratto di una delle figlie di Abdullah, scattato all’interno della capanna. Ho avuto qualche altra opportunità di fare fotografie mentre cucinavano per noi del pane tradizionale nella sabbia.

I 12 giorni che avevamo passato nel deserto ci stavano, a questo punto, logorando. Il calore, il vento torrido e la sabbia stavano diventando un po’ troppo per Tanya. Era giunto il momento di lasciare questa zona meravigliosa. La famiglia di Abdullah ci ha salutati e ci siamo allontanati verso Atar e, successivamente, verso la capitale Nouakchott.

Una cosa importante che ho imparato, di nuovo

Un paio di mesi fa ho scritto, nel mio post sul Marocco, che in certe situazioni è imperativo avere una buona guida. Ne abbiamo beneficiato molto anche in Mauritania. Senza Alioune probabilmente non sarei riuscito a raggiungere molti di questi villaggi (non avevo idea di dove fossero).

Anche se ce l’avessi fatta, le mie visite sarebbero state in un certo senso strane e incomplete, perché non sarei riuscito a entrare in comunicazione a un livello più profondo con nessuno. L’inglese di Alioune non era perfetto, ma il ragazzo ha avuto la capacità di procurarmi opportunità fotografiche ovunque andassimo. Se sei un fotografo e vorrai visitare questo posto stupendo, scrivimi un’email e ti manderò i suoi contatti.

Ora sono in Senegal, in un campeggio sulla spiaggia. Sto svolgendo del lavoro meno entusiasmante e mi prendo del tempo per riflettere in profondità su quel che è successo durante il mio viaggio in Mauritania. La vita è bella e non ho niente di cui lamentarmi.

Per imparare qual’è il processo che uso per creare foto come queste, leggi il mio libro. Ci troverai la storia e i dettagli tecnici di diverse mie foto scattate in viaggio. Trovi il libro cliccando qui.

Articolo di MITCHELL KANASHKEVICH liberamente tradotto dall’originale: http://www.mitchellkphotos.com/blog/2013/07/22/mauritania-the-most-amazing-place-youll-probably-never-visit


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