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Maurizio Casagrande e Tosca D’Aquino: un Prigioniero da Applausi

Creato il 24 marzo 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Giuseppe Floriano Bonanno 

La grande crisi, i poteri occulti forti che, più o meno, palesemente influenzano le nostre vite, le preoccupazioni di tutti i giorni, la difficoltà di vivere, stritolati tra obblighi e doveri, con l’obiettivo finale di essere “buoni consumatori” sono solo alcuni dei temi che ci suggerisce Il prigioniero della Seconda Strada, celebre testo di Neil Simon datato 1971 ed andato in scena sul palcoscenico del Teatro Duse di Bologna. Questo spettacolo, prodotto da La Contrada – Teatro Stabile di Trieste e con Giovanni Anfuso alla regia, non dimentica ovviamente la versione cinematografica della pièce (diretta nel 1975 da Melvin Frank e con protagonisti Jack Lemmon e Anne Bancroft), e, grazie anche alle straordinarie performance di Maurizio Casagrande e Tosca D’Aquino, mostra ancora tutta la sua sorprendente attualità e consistenza. È, infatti, fin troppo facile, osservando la coppia al centro della vicenda, trovare punti di contatto con la famiglia tipo dei giorni nostri che, aggredita dalla crisi economica, si trova a dover affrontare problemi che paiono insormontabili e che finiscono per inquinare il normale tran tran quotidiano. Il marito, Mel, è un dirigente d’azienda, licenziato dalla sua azienda dopo ventidue anni di onorata carriera, che non ha l’audacia di dirlo alla moglie, rivelandosi per quello che è: un piccolo uomo onesto, incapace di spiegarsi perché mai la società contemporanea non sappia più che farsene di lui. La moglie, Edna, è invece una donna molto coraggiosa, che sa volare alto, come solo le donne sanno fare, e che, con grande spirito pratico, si rimette a lavorare come segretaria per salvare la famiglia.

Maurizio Casagrande e Tosca D’Aquino: un Prigioniero da Applausi

Tra rumori molesti, litigi con i vicini, furti subiti e le infinite nevrosi che lo attanagliano e che finiscono per metterlo al tappeto, Mel è costretto a ricorrere ad uno psicoterapeuta e viene supportato, tra le mura domestiche, solo dal grande amore e dallo spirito di sacrificio di Edna che gli evitano il tracollo completo. Neppure la ricomparsa, dopo anni, del fratello e delle tre sorelle zitelle di Mel porterà serenità, anzi, farà riaffiorare invidie e malesseri mai sopiti che finiranno per rafforzare ancor più il rapporto tra i due coniugi, che, dopo il licenziamento di Edna, faranno finalmente fronte comune contro le avversità, accorgendosi di quanto l’intensità del loro amore possa essere più forte di tutto. La società ed i rapporti interpersonali sono vivisezionati, senza falsi pudori, sotto l’apparente leggerezza di tic e situazioni paradossali ed estreme, che però fotografano alla perfezione il disagio di un tempo, il nostro, in cui si è finito per perdere di vista quelli che sono i veri valori e le vere necessità, sostituiti da bisogni e comportamenti indotti, che, sotto l’occhio sempre vigile del “Grande Fratello”, siamo chiamati a perseguire e recitare per rimanere omologati alla massa. Dal generale al particolare, dal sociale all’intimo, vediamo, riflessi nei protagonisti, tutti i nostri vezzi e vizi che hanno ormai celato virtù e pregi, sopprimendo il nostro innato individualismo in nome dell’appartenenza ad un modello ideale, ma vacuo, fatto solo di beni da acquistare e di servizi da usufruire.

Maurizio Casagrande e Tosca D’Aquino: un Prigioniero da Applausi

Sembra quasi da ringraziare questa crisi che ci ha aperto gli occhi e che, a fatica, sta squarciando le sovrastrutture indotte, facendoci intravvedere come eravamo e come dovremmo essere. Durante la rappresentazione si sorride molto, anche se ci sovviene poi quel retrogusto amaro che invita a fermarsi per riflettere su noi stessi e sui nostri rapporti con gli altri e con il mondo circostante, finendo per adempiere così a quel fine catartico che da sempre la “Commedia” ha e che viene anche stavolta centrato. Da sottolineare la bravura dei due attori, abilissimi a passare dall’apparente normalità alla nevrosi più profonda, grazie alla gestualità prorompente e alla verve di dialoghi, incalzanti e talvolta soffocanti, che conquistano e divertono. Gli applausi finali, prolungati, convinti e calorosi, sono il meritato riconoscimento ad uno spettacolo dai giusti ritmi, senza pause, equamente sospeso tra serio e faceto, tra profondità e leggerezza, fotografia perfetta di un tempo in cui gioie e dolori, preoccupazioni ed entusiasmi si succedono a ritmi vertiginosi finendo per minare la nostra più profonda umanità.

 

Fotografie di Tommaso Le Pera

 

Maurizio Casagrande e Tosca D’Aquino: un Prigioniero da Applausi

     

     

     


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