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Mauro, la solitudine del Re e il mal di Lucania
Creato il 24 settembre 2012 da Giuseppe Melillo @giuseppemelilloE’stata una notte di fine settembre, una di quelle notte di mezzo che non sai mai se sia sabato o domenica. Era da poco era finito il concerto dei Krikka Reggae e si era in piazzetta con i musicisti della Krikka, antichi compagni, a cazzeggiare e a ricordare esperienze comuni. Adempivamo a quel rito comunitario a cui vecchi amici si sottopongono quando si incrociano in posti diversi da quelli consueti; il consueto era il posto natio, Bernalda e l’incrocio, in quel momento, era Potenza.
Ero in compagnia di Giampiero e salutavamo i ragazzi: “ bè uagliù,n’ vdim” ( è come dire- ci rivediamo prima o poi-). Giampiero, potentino, anche se padrone di casa, giocava fuori casa per quel dialetto bernaldese e quei modi di dire che seppur lucani non gli appartengono del tutto.
E sorrideva con un sorriso stanco ma soddisfatto, incredulo quasi di essere arrivato vivo a fine serata dopo i giorni passati ad organizzare una festa lunga tre giorni. La domenica lo aspettava e la giornata conclusiva
poteva riservare sorprese che era meglio affrontare carichi di energia. Era giunto il momento di andare a dormire.
Ma sono i momenti che ti fregano. La differenza tra una serata bella e una importante la fa anche un solo passo. Quel passo che io e Giampiero non abbiamo compiuto, quel passo esitato. E meno male!, aggiungo. Per quel passo non fatto ci raggiunge Mauro, Mauro Monni, toscano e attore teatrale che vuol salutarci prima di andare in albergo, E’ tardi e domani, quasi di buon mattino, deve ripartire verso la Toscana. Ma neanche Mauro immagina che quella sua accelerata di passo per salutarci avrebbe cambiato la rotta di una nottata che pareva volgere al termine. Mauro è a Potenza con un suo spettacolo, -La solitudine del re-, incentrato sul rapimento Moro e dove prevale la figura dell’uomo sullo statista. Uno spettacolo in cui si narra di un uomo lasciato volutamente solo dallo stato e dagli uomini di potere. Un uomo che era meglio sacrificare. Un uomo da consegnare alla storia come martire e da trasformare in mito. Una storia non raccontata mai abbastanza di poteri collusi, di interessi massonici e finanziari, di forze internazionali e trasversali che hanno avuto paura di un uomo, quel Moro, che forse si stava avvicinando troppo a quel Berlinguer e che insieme avevano una visione diversa e un progetto migliore di quell’Italietta borghese e fangosa che ancora ci trasciniamo dietro. E che forse, chi lo saprà mai, insieme sarebbero riusciti a cambiare. E l’attore Mauro Monni lo ha raccontato e rappresentato in una piazzetta nel centro storico di Potenza, circondato dal silenzio degli spettatori i cui visi accennavano smorfie di sdegno o di rabbia. Qualcuno sembrava triste e pensieroso. Mauro è bravo. E non è solo un bravo attore. Mauro è soprattutto un uomo che trasmette le passioni e le conficca alla pancia di chi ascolta. Mauro sa fare il suo mestiere ma principalmente ama e sente dentro di sé ciò che interpreta.
Insomma, per non farla lunga, io Giampiero e Mauro ci ritroviamo insieme ai Krikka a scambiarci qualche battute. A Mauro ricordo che ad agosto si è esibito a Bernalda, invitato dai ragazzi del circolo Al Verde e di Radio Raptus. Lui annuisce, sorride, ricorda e racconta con piacere di quei giorni estivi passati in Basilicata. Racconta della bellezza dei luoghi, della bellezza umana, di quel sensazione di benessere che provi attraversando senza meta le vie e fermandoti nelle piazzette dei nostri borghi. Giovanni, Antonio, Marco, Manuel il cileno, sono alcuni tra i tanti nomi che cita nel raccontare la sua esperienza lucana e si avverte che non sono nomi ma sono persone che gli hanno regalato un pezzo della loro anima e che Mauro ha accolto senza accorgersene trovandosi, una volta ripartito, poi più ricco e un po’ orfano.
Mi spiega che non sa decifrare bene ma nei giorni successivi, ormai già lontano dalla Basilicata e immerso nei suoi impegni, avvertiva nostalgia di questi posti.
Sembra strano per uno che per mestiere è girovago.
In realtà non è così poi assurdo e gli racconto di questa terra.
Gli racconto di una Basilicata che non si può spiegare. Di una terra che bisogna vivere, sentire, assaporare, esserci dentro. Che la Basilicata non è un territorio, è oltre. E’ una dimensione in cui la geografia emozionale prende forma e significato. Un luogo in cui i segni e i simboli non si possono spiegare ma si devono cogliere, perché sono come il silenzio che appena lo pronunci scompare.
“ E’ così! E’ esattamente così.” – mi dice Mauro-. “La Basilicata la capisci quando ti allontani e ne senti la mancanza” – “ Io, infatti”- continua Mauro-“dopo qualche giorno che ero andato via, ho scritto sul mio profilo Facebook : sono lucano”.
Mauro ha ragione e centrato il punto. Quel sentirsi o essere lucano non è una condizione anagrafica, non si è lucani perché si nasce in Basilicata. Lucani ci si diventa, è una condizione dell’anima, è un passaggio sensoriale ed emotivo, è un ritorno alle origini in cui l’uomo si riappropria del proprio tempo biologico, eliminando le scorie del tempo meccanico e moderno. In Basilicata ci si riappropria di se stessi. Ecco perché quando la conosci e poi vai via rimani malato da quello che è il mal di Lucania.
“E’ vero, è questo che io ho sentito, il mal di Lucania” - risponde Mauro-. “Penso di esserne contagiato e ne sono contento”. La notte scivola così, con me Giampiero e Mauro che parliamo e ci raccontiamo, come se fossimo amici da sempre, come le notti di mezzo lucane sanno fare. Alla fine ci salutiamo con un a presto e un bocca al lupo per tutto.
Stamane, domenica, sul profilo Facebook di Mauro leggo: “ Basilicata apri cuore, grazie”. Ora gli risponderò: “Benvenuto!”
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