Arriva domani all'Onu il “Rapporto Palmer” sull'attacco israeliano alla Mavi Marmara che faceva parte della Freedom Flotilla e nella quale furono uccisi nove attivisti turchi. Il documento era stato ordinato proprio per stabilire colpe e responsabilità nell'attacco, ma la sua pubblicazione era stata rinviata tre volte, rispetto alla data originaria del 15 maggio, per permettere alle diplomazie turca e israeliana di trovare un compromesso sulla ricostruzione dei fatti. Secondo gli organi di informazione israeliani, il governo di Tel Aviv avrebbe chiesto un ulteriore quarto posticipo di ben sei mesi: una richiesta che le autorità di Ankara hanno respinto.
Le posizioni dei due paesi restano per ora diametralmente opposte. Il nodo è quello delle scuse ufficiali che Ankara ha chiesto insieme ad una compensazione economica per le famiglie delle vittime e alla fine dell'embargo contro Gaza. Richieste che Israele si rifiuta di accogliere come è tornato a ripetere il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, appena due giorni fa. D'altra parte, nemmeno ad Ankara la musica pare cambiata. Il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, oggi ha ribadito la posizione ufficiale del suo governo: o Israele si scusa, o la Turchia è pronta a prendere misure drastiche (come il ridimensionamento della rappresentanza diplomatica e la sospensione dei rapporti politici ed economici).
In questo quadro di sostanziale stallo, la visita del premier Recep Tayyip Erdogan a Gaza, prevista a settembre, potrebbe rinfocolare le tensioni. Senza contare che l'iniziativa all'Onu per il riconoscimento dello stato palestinese potrebbe avere la sua cabina di regia proprio ad Ankara. Ma c'è un ulteriore retroscena interessante che potrebbe cambiare le prospettive della vicenda Mavi Marmara. Stando al Jerusalem Post, il “Rapporto Palmer” sarebbe in realtà favorevole a Israele e metterebbe Ankara in una cattiva luce e la Turchia starebbe cercando di insabbiarlo. Inoltre, stando alle indiscrezioni pubblicate dal quotidiano turco Hurriyet, il dossier riconoscerebbe il diritto di Israele di agire contro chi minaccia la sua stabilità e la sua sicurezza anche in acque internazionali. Dunque, anche se il rapporto criticasse duramente Tel Aviv per l'uso eccessivo della forza contro gli attivisti civili, Israele non ne uscirebbe comunque sconfitto e sarebbero vanificati gli sforzi di Ankara di ottenere scuse ufficiali.