Unico neo dell’ultimo libro di Jonathan Coe è purtroppo il finale, trascinato per lunghe in una serie di contraddizioni e situazioni inverosimili. Un vero peccato, perchè “I terribili segreti di Maxwell Sim”, avrebbe potuto essere una di quelle vere opere d’arte letteraria, che attraverso la vicende di un uomo comune, non dissimile da tutti noi, si fa interprete della condizione e del sentire di un’intera generazione.
A questo punto non mi stupirei se Mr Sim iniziasse a ricordarvi qualcuno di vostra conoscenza. Solo che il nostro protagonista decide di ribellarsi alla sua stessa inerzia intraprendendo un viaggio, all’apparenza spinto da motivi professionali.
Ecco, il percorso che Maxwell Sim intraprende in macchina attraverso l’Inghilterra dei primi anni del 2000, diventa un passaggio attraverso il nostro tempo: paesaggi duramente colpiti dalla crisi economica, ancora una volta mutati rispetto al secolo appena precedente, quando la globalizzazione e le multinazionali hanno contribuito ad omologarne ogni tratto; grandi magazzini al posto delle fabbriche; speculazione finanziaria al posto della produzione; strade e tecnologie ideate per facilitare la comunicazione, ma che “scollegano e basta” impedendo di fatto l’incontro umano. E il senso di tutto questo mutare, correre, velocizzare, sfugge al protagonista del libro di Coe, come credo sfugga a molti di noi.
Questo, però, è soltanto ciò che Maxwell Sim vede. Ciò che sente è un profondo disagio e il suo viaggio sarà anche l’occasione per risalire alle radici del suo malessere. Involontariamente, Sim, ripercorre in auto anche il suo passato, scoprendo che, per quanto il tempo sembri scorrere veloce, alcune cose con cambiano mai: le colpe dei padri ricadranno sempre sui figli.
Lo scriveva Dumas secoli addietro, lo ribadisce in chiave moderna Coe ne I terribili segreti di Maxwell Sim. Un vero peccato per un finale così sbagliato.