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La trama (con parole mie): May è una ragazza cresciuta nel profondo della provincia americana, schiacciata dall'ossessione dello strabismo che l'ha colpita da bambina e dalla solitudine. Sua unica "amica" la bambola Suzy, che resta al suo fianco fino a quando, ormai cresciuta, grazie ad un paio di lenti ha la possibilità di celare il suo difetto fisico: rassicurata dal suo aspetto, May tenta così l'approccio rispetto all'aspirante regista Adam, che inizialmente ricambia le sue attenzioni ma presto è spaventato dalle stranezze della giovane.Abbandonata, lei si rifugia nelle attenzioni di Polly, segretaria dello studio veterinario in cui lavora, ma anche in questa nuova relazione le cose non funzionano: tornata sola e mossa dalla "voce" di Suzy, per May pare non restare altro che sfogare dolore e frustrazione in una vera e propria escalation violenta.
Qui dalle parti del Saloon l’arcigno Lucky McKee ha ormai un suo posto d’onore guadagnato grazie allo strabiliante The woman e allo struggente Red, passati su questi schermi nel corso dell’anno da poco alle nostre spalle.Il percorso del sottoscritto rispetto alla sua filmografia continua dunque a ritroso, ripescando la pellicola che sancì il suo esordio nella “grande” distribuzione, un viaggio nel disagio mentale costruito e girato con una produzione praticamente fatta in casa ed un budget ridotto all’osso, giocato principalmente sui tre protagonisti e, nonostante alcuni esterni, assolutamente teatrale e “da camera” nella sua esecuzione, tanto da ricordarmi un altro prodotto dell’autorialità ai margini delle major americano, il Bugfirmato da William Friedkin.May – protagonista fragile e disequilibrata, interpretata alla grandissima da Angela Bettis -, vive la sua vita come una spettatrice, alimentando il disagio della solitudine profonda grazie ad una bambola che, fin dalla tenera età, ha simboleggiato per lei l’incombente presenza della figura materna nonché un ideale mai realizzato di bellezza e perfezione.Costruendo il dramma della sua protagonista e l’escalation violenta che ne deriva, McKee porta sullo schermo non soltanto la rivalsa di una donna vissuta ai margini, outsider quasi per vocazione, ma anche e soprattutto lo struggente desiderio di essere accettata della stessa, pur lasciando libera la componente instabile che rende May progressivamente sempre più inquietante agli occhi dell’audience: certo, sia la sceneggiatura che la regia risultano ancora acerbi, rispetto a quello che sarà il McKee dei lavori successivi, eppure la potenza emozionale della pellicola è assolutamente evidente, e resa ancor più vivida dalla quasi candida evoluzione omicida della ragazza, che riporta alla memoria le bambole burtoniane così come le atmosfere dei vecchi film di genere in stile Jacques Tourneur, più che quelle dell’omaggiatissimo e nostrano Dario Argento – idolo del protagonista maschile, l’aspirante regista Adam interpretato da Jeremy Sisto, che i più avvezzi al piccolo schermo ricorderanno per il suo ruolo in Six feet under -, il tutto spruzzato con un po’ di quella disperata follia tipica della visione di Lynch della provincia statunitense.Da appassionato di serial killers ed affini, ho trovato decisamente affascinante il ritratto fornito da McKee in questo suo lavoro: May, isolata fin dall’infanzia da un difetto fisico e divorata dalla voglia di poter essere amata e desiderata come tutte le persone normali, sviluppa progressivamente una vera e propria passione morbosa per tutto quello che, in un corpo, è a suo modo di vedere una sorta di “perfezione” da opporre a quella che, nel suo caso, è stata una condanna.Dal gatto domestico alle mani di Adam, tutte le parti dei corpi che la ragazza impara ad ammirare finiscono per essere idealizzate fino a divenire un vero e proprio sostituto rispetto a Suzy, la bambola che ha assorbito tutte le sofferenze dovute all’isolamento fin dal giorno in cui la ricevette in dono dalla madre: l’accettazione diviene dunque progressivamente vendetta, e l’innocenza nell’esporsi emotivamente una fredda manifestazione della ferocia dei predatori.McKee, comunque, non giustifica gli atti terribili progressivamente commessi da May, e più che altro ne porta in scena il dramma interiore ed esteriore, creando un’empatia con lo spettatore che pare camminare sul filo, in bilico tra la pietà e l’inquietudine – quasi si finisse per identificarsi più in Adam che non effettivamente nella stessa assassina -.Nessuna redenzione, dunque, o tentativo di strizzare l’occhio – e in questo caso ci si potrebbe addirittura concedere una battuta cattiva e nerissima – alla speranza: il cammino di questa giovane donna è segnato, e non ci sarà nulla in grado di salvare lei e chi, in un modo o nell’altro, è entrato a far parte del suo mondo, dal mostro che è annidato nei recessi di quest’anima tormentata, e che pare aver atteso da fin troppo tempo l’occasione di uscire.L’oscurità, del resto, è parte dell’essere umano: e mentre qualcuno la combatte attraverso le sue passioni – Adam – ed altri con il sesso, o un approccio più “easy” alla vita – Polly -, occorre pensare che ci sarà sempre chi, dopo un'esistenza intera da preda, deciderà d’improvviso – e forse neppure consciamente - di passare dalla parte dei predatori.Ed in questi casi sarà sempre difficile pensare che la May di turno possa decidere di fermarsi fino a quando la sete di quell’oscurità non si sarà placata.
MrFord
"Chissà se tu mi penserai se con i tuoi non parli mai
se ti nascondi come me sfuggi gli sguardi e te ne stai."Laura Pausini - "La solitudine" -
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