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le pellicole che – dicono – stanno sbancando al botteghino
Maze Runner – La Fuga
Titolo: “The Maze Runner – The Scorch Trials“
Regia: Wes Ball
Sceneggiatura: James Dashner
Genere: azione, fantascienza
Durata: 132 minuti
Interpreti: Dylan O’Brien: Thomas
Kaya Scodelario: Teresa
Giancarlo Esposito: George
Ki Hong Lee: Minho
Rosa Salazar: Brenda
Nelle sale italiane dal: 15 ottobre 2015
Trama: Dopo essere usciti dal labirinto, Thomas e compagni cominciano a ricordare il loro passato: un virus terribile ha distrutto la civiltà e una potente organizzazione ha sottratto alle rispettive madri i bambini immuni per sottoporli a dei test (fra cui il labirinto del primo episodio). Ora vivono in una comunità comandata da Jason, che afferma di aver salvato molti altri ragazzi come loro fornendo acqua, cibo e un tetto sotto cui dormire. Ma Thomas è sospettoso verso il suo nuovo ospite e comincia a indagare per vederci chiaro.
di Jacopo Giunchi
Aveva convinto il primo film, convince un po’ meno questo sequel, che sostituisce al circoscritto microcosmo artificiale della Radura gli sconfinati spazi di un mondo post-apocalittico. Si dissolve in questa maniera il felice impianto simbolico originario, dove l’habitat artificiale era sineddoche della complessità, per lasciar posto all’esplorazione di un mondo complesso e artificioso.
In Maze Runner: La Fuga assistiamo a un ridimensionamento del campo d’indagine, e alla metafora sociologica del predecessore si sostituisce quella psicologica: vediamo infatti il protagonista molto più spesso in solitaria, impegnato a compiere il suo viaggio che lo sballotta da una comunità all’altra mentre perde uno ad uno i propri compagni. Si capisce quindi che il tono di questa pellicola è molto più introspettivo e allude a un percorso di crescita ( o meglio, di fuga) personale.
Non a caso i titolisti italiani lo hanno rinominato “La Fuga” (il sottotitolo originale è “The Scorch Trials“): i ragazzi fuggono per tutto il film, braccati dalla cinica corporazione che vuole usarli per curare il feral morbo da cui è afflitta l’umanità. La storia comincia con un flemmatico flashback, dove il protagonista bambino viene separato dalla madre, per poi tornare all’elicottero dove avevamo lasciato Thomas. La prima sequenza al fulmicotone esprime lo stato confusionale del personaggio, catapultato ancora una volta in un mondo tutto nuovo, di cui dovrà presto apprendere le regole. Segue lo spiegone del capovillaggio, dove apprendiamo che Thomas e i Radurai sono stati portati nella cittadella militarizzata che rappresenta l’ultimo baluardo della civiltà assediata dalle forze del male. Si riprende fiato con una scena da “primo giorno di scuola” alla mensa, tipica degli high school movie americani. Fin qui tutto molto canonico, finanche banale.
Ai ragazzi vengono forniti cibo, servizi igienici e un letto dove dormire; il tutto molto spartano, ma decisamente meglio della vita che erano costretti a condurre nella Radura. Ovviamente, però, Thomas sente puzza di bruciato e decide di indagare sulle strane attività condotte dalla corporazione. Si ripropone la dinamica del precedente episodio: Thomas non vuole sottostare alle regole e rimescola le carte in tavola decidendo di scappare dalla sicura e confortevole cittadella. Seguono artificiose sequenze esplorative, enfatizzate da una solenne colonna sonora, dove i fuggiaschi scandagliano i bui corridoi dello stabile armati di torce elettriche, riuscendo finalmente a uscire. Al di fuori, li aspetta un mondo arido, squassato da tempeste e popolato da uomini che la malattia ha tramutato in mostri cannibali.
Da qui in poi, la vicenda si sviluppa secondo lo schema: “FUGA – MOMENTANEO RIPOSO – RIPARTENZA”, che si ripete per almeno sei volte. Chiaramente, questa ricorsività della sceneggiatura risulta alla lunga stancante, ma consente di dare alla pellicola una marcata impronta action/survival e ricrea lo stato esistenziale dell’adolescente, che, ribellandosi e fuggendo dalle imposizioni di una società omologante, trova rifugio e consolazione in una successione di alternative momentanee, fragili, senza mai trovare un equilibrio stabile. Ogni luogo di approdo si rivela presto poco sicuro, se non addirittura una minaccia ancora più grande che si aggiunge a quella degli inseguitori; i compagni di viaggio abbandonano uno ad uno Thomas: chi muore, chi tradisce, chi viene, volente o nolente, reintegrato dalla corporazione. Solo l’incontro con un’anima gemella ridà al ragazzo la forza di proseguire il proprio viaggio, verso una meta che appare sempre più illusoria ogni giorno che passa.
Essendo un film più ambizioso del precedente, che utilizza più attori, più location e più soluzioni registiche, presta maggiormente il fianco a errori nella messa in scena, i quali, puntualmente, arrivano. In primo luogo le scene di azione non sempre soddisfano, sono spesso sovraccariche e mostrano anche grossolane sviste (come un elicottero in CGI in rotta di collisione con un edificio, che magicamente lo oltrepassa nell’inquadratura successiva). Scenografie, costumi e fotografia, oltre che poveri, non sono amalgamati bene fra di loro, dando costantemente la sensazione di immagine prefabbricata, con finti tagli di luce o finta sporcizia. La sceneggiatura è sovente banale (a partire dall’abusatissimo scenario postapocalittico desertificato e zombificato) e ripetitiva, anche se questo dipende probabilmente dalla necessità di rimanere fedeli al libro.
Maze Runner: La Fuga, pur essendo un pelo inferiore al primo capitolo, conferma la qualità di una serie ingiustamente sottovalutata e fa ben sperare per il prossimo capitolo. Sicuramente consigliato a tutti gli amanti delle fughe adrenaliniche, sebbene lo scettro per questo tipo di pellicola vada al coevo Mad Max: Fury Road, di gran lunga superiore.