“Si ricorda ai giornali di Roma di non dar rilievo al teatro dialettale” (13 luglio 1932); “È stato raccomandato ai giornali di non dire che Carnera è friulano ma di ricordare soltanto che è italiano” (16 febbraio 1933); ” È stato raccomandato di evitare di usare termini stranieri anche nelle pubblicità dei giornali (2 aprile 1934): sono solo alcune delle veline diramate ai giornali dall’ufficio stampa del capo del governo nei primi anni Trenta per stigmatizzare l’uso di vocaboli stranieri e scoraggiare l’uso del dialetto.
Ventivolo e non vol-au-vent, fiorellare e non flirtare, arlecchino e non cocktail: la lotta alle parole straniere si accompagna, nella politica di autarchia linguistica del fascismo, alla repressione dei dialetti e delle minoranze linguistiche. Mentre la lingua dei motti dell’oratoria mussoliniana pervade il paesaggio…
Di questo aspetto del fascismo – la politica linguistica del Ventennio – oggetto da tempo di studi consolidati in ambito scientifico ha voluto occuparsi la linguista Valeria Della Valle con un documentario originale che affida ad un uso sapiente e creativo delle immagini d’archivio (si tratta in prevalenza delle attualità girate dai reparti cinematografici dell’allora Istituto Luce, dei documentari e delle fiction prodotte dall’organismo fascista) il compito di portare fuori dalle aule universitarie un tema ignorato finora dalla produzione documentaristica italiana.
“Me ne frego”, il titolo del lungometraggio, è un tuffo nel linguaggio (e nei gesti, nelle pose) del bellicoso oratore Mussolini che, pescando a piene mani dal bacino dannunziano e combattentistico, dà fuoco alle polveri per la battaglia anti-borghese, ripresa più volte nel corso del Ventennio. Il documentario racconta lo svolgersi del discorso sulla lingua che il fascismo costruisce nel corso degli anni: uno strumento totalitario – tra i tanti, altrove abbiamo studiato i cinegiornali Luce come testi persuasivi dell’ideologia - per costruire l’Uomo Nuovo, il cittadino pronto ad identificarsi completamente nello Stato fascista. Ecco allora l’autarchia linguistica e il purismo xenofobo in difesa del genio nazionale: la lotta ai forestierismi, sostenuta da intense campagne “mediatiche” (ben ricostruite dal documentario e raccontata anche da divertenti animazioni artistiche) affidate a giornali, riviste, istituzioni, studiosi della lingua, scrittori e accademici d’Italia vuole sostituire il vol-au-vent con il ventivolo, il flirtare con il fiorellare, il cocktail con l’arlecchino.
Sequenza del documentario “Me ne frego”
Nel ’40 la legislazione xenofoba giungerà a prevedere persino il carcere per l’uso di parole straniere nelle insegne, nella pubblicità, nei nomi delle strade… Certo non tutto fu ridicolo - il linguista Bruno Migliorini propose con successo l’uso di regista e autista per sostituire régisseur e chauffeur - e il dibattito sull’uso di parole straniere non nasceva nel Ventennio. Ma la battaglia nazionalista andò oltre, mirando ad eliminare culture locali, regionalismi, dialetti, a reprimere le minoranze linguistiche. Un tratto totalitario, sia detto per inciso, comune ad altre rivoluzioni: la lotta ai “patois” e alle parole dell’antico regime caratterizzò anche la politica linguistica della Francia dei diritti dell’uomo e del cittadino che affidò al prete citoyen Henri Grégoire il compito di censire i dialetti nel territorio nazionale, espressione di civiltà arretrata (passatista, diremmo con Marinetti): è il celebre “Rapport sur la nécessité et les moyens d’anéantir les patois et d’universaliser l’usage de la langue française”.. Ma torniamo al regime fascista.
Mentre scritte inneggianti al duce e motti mussoliniani riempiono il paesaggio, urbano e campestre, la battaglia antiborghese fa un balzo avanti con le sanzioni a comportamenti extraverbali (nell’abbigliamento: non portare “tubi di stufa” in testa o pantaloni a righe “residui del tight” dispone il segretario del Partito Achille Starace) e il divieto del pronome allocutivo Lei, il cui uso è ricondotto ad una supposta origine spagnola e la cui sostituzione con i pronomi “Tu” e “Voi” il Regime incoraggia.
Della Valle ricorda il discorso pronunciato da Mussolini al Consiglio nazionale del Partito fascista il 25 ottobre 1938 nel quale il Duce parla di tre “cazzotti nello stomaco“ sferrati alla borghesia: la sostituzione del Lei servile e straniero con il Voi, l’introduzione del passo romano e… la legislazione antirazziale. Il dittatore evidentemente attribuiva lo stesso peso a decisioni di ben diverso peso e gravità. Alla battaglia Anti-Lei sarà dedicata una singolare mostra organizzata a Torino, sostenuta da una campagna giornalistica istruita dall’ufficio stampa, prescrittiva nei minimi dettagli (“I giornali di Torino devono riprendere anche con illustrazioni la Mostra antilei, rilevando il lato canzonatorio e insistendo ad esempio sulla documentazione sull’uso del voi da parte di Dante”, velina del 15 novembre 1939). Anche l’Istituto Luce inviò i suoi operatori a Torino producendo un (prezioso per noi) servizio cinematografico che il documentario ci mostra integralmente.
Sequenza tratta dal documentario “Me ne frego”
Sotto i colpi della campagna Anti-Lei cadrà anche una rivista femminile che Rizzoli aveva chiamato Lei. Lei, terza persona singolare femminile, non Lei pronome allocutivo. Non ci fu nulla da fare e il periodico cambiò nome diventando… Annabella. Con gran soddisfazione di Achille Starace che, zelante segretario del Pnf dal ’31 al ’39, inviava a gerarchi e membri del partito le sue direttive (i “Fogli di disposizione del P.N.F.”) sulla politica linguistica del Regime. Ancora una volta, ascoltando la voce di Starace ripreso in primo piano – una rarità nei Giornali Luce poiché primi piani e presa diretta si riservavano soprattutto al Duce – non si può che apprezzare il paziente e accurato lavoro di indagine nell’archivio Luce svolto dalla ricercatrice e storica del cinema Giovannella Rendi che ha fatto emergere sequenze e suoni non scontati e conosciuti da pochi. Per godere fino in fondo della bellezza e del fascino di queste immagini in alta definizione provate a vederle scorrere togliendo l’audio, contemplando solo i volti in bianco e nero degli alunni a scuola durante le cerimonie delle Befane fasciste…non ve ne pentirete. La regia di Vanni Gandolfo, il montaggio spesso ironico di Patrizia Penzo hanno dato movimento e leggerezza ad un documentario “uscito fuori” dal mondo accademico.
Il documentario è stato presentato alla Mostra del cinema di Venezia, all’Università La Sapienza di Roma da Giovanni Sabbatucci, Lucia Serianni, Valeria Della Valle il 17 ottobre scorso; è stato proiettato ieri al Bea Café alla presenza dell’autrice e del regista. Edito da Cinecittà Luce Me ne frego è disponibile in DVD. Il supporto contiene anche un bel documentario del 1937, con voci dialettali in presa diretta, ambientato a Venezia –“ Vita di mercati” – di Geni Sadero, regista di altri ritratti del Veneto conservati dall’archivio di Cinecittà Luce.