Un dipendente che lavora con normale diligenza non deve temere di perdere il posto di lavoro – salvo casi eccezionali. A questo servono il contratto a tempo indeterminato e l'articolo 18: il rapporto di lavoro continua fino alla pensione o alle dimissioni volontarie del dipendente. Solo in casi davvero fuori dall'ordinario il rapporto si può interrompere, casi di comportamento abnorme del lavoratore o di estreme situazioni di dissesto economico. Rendere proficuo il rapporto di lavoro, perciò, è un compito che ricade sulle spalle del datore. Ma allora, chi gliela fa fare? La tecnologia incalza e moltiplica le possibilità di sostituire il lavoro umano con quello di software e robot industriali
Resta da chiederci se le imprese continuerebbero ad assumere a tempo indeterminato – come nonostante tutto fanno ed hanno sempre fatto – senza i motivi ideologici che stanno dietro all'articolo 18 ed alle attuali tutele. Senza una base politica, sono quelli i veri fattori che fanno sì che un lavoratore possa contare sulla sicurezza del proprio posto di lavoro. La domanda potrebbe essere questa: se non per motivi politici, quali sono le ragioni che spingono un datore di lavoro ad assumere a tempo indeterminato? Cosa rende un dipendente tanto importante da volerlo tenere a tutti i costi?
La crisi (quella vera, quella che dura dagli anni '90) ha ribaltato la questione del posto fisso: un tempo si voleva dare al lavoratore la scelta se tenere il posto o meno, ora è in mano al datore. Chi avrà l'ultima parola allora? Chi fa notare la difficoltà a mandar via i fannulloni (che lanciano maledizioni sul mercato del lavoro trincerati dietro l'articolo 18) o chi non vuole che il datore abusi della posizione dominante?
In attesa di studiare un po' di più, la partira rimane più che mai aperta.
Simone Caroli