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Me ne vado solo quando voglio io: la saga dell’art.18

Creato il 01 ottobre 2014 da Propostalavoro @propostalavoro
Ricordate l'entusiasmo generale quando il ministro Poletti, propose più controlli dagli ispettori del lavoro contro il precariato? Buone notizie: il Jobs Act parte seconda (alias disegno di legge n. 1428) come emendato dalla Commissione, rispolvera questa felice iniziativa, prevedendo più capillarità ed efficienza per il personale ispettivo. Ed è giusto: quanto può fare, in effetti, un tribunale contro un foglio di dimissioni in bianco? Come rendere giustizia, altrimenti, alla lavoratrice che sotto la spinta dalla crescente disoccupazione firma quel foglio maledetto? Per lei l'articolo 18 non nemmeno è mai esistito.

Me ne vado solo quando voglio io: la saga dellart.18

Un dipendente che lavora con normale diligenza non deve temere di perdere il posto di lavoro – salvo casi eccezionali. A questo servono il contratto a tempo indeterminato e l'articolo 18: il rapporto di lavoro continua fino alla pensione o alle dimissioni volontarie del dipendente. Solo in casi davvero fuori dall'ordinario il rapporto si può interrompere, casi di comportamento abnorme del lavoratore o di estreme situazioni di dissesto economico. Rendere proficuo il rapporto di lavoro, perciò, è un compito che ricade sulle spalle del datore. Ma allora, chi gliela fa fare? La tecnologia incalza e moltiplica le possibilità di sostituire il lavoro umano con quello di software e robot industriali

Resta da chiederci se le imprese continuerebbero ad assumere a tempo indeterminato – come nonostante tutto fanno ed hanno sempre fatto – senza i motivi ideologici che stanno dietro all'articolo 18 ed alle attuali tutele. Senza una base politica, sono quelli i veri fattori che fanno sì che un lavoratore possa contare sulla sicurezza del proprio posto di lavoro. La domanda potrebbe essere questa: se non per motivi politici, quali sono le ragioni che spingono un datore di lavoro ad assumere a tempo indeterminato? Cosa rende un dipendente tanto importante da volerlo tenere a tutti i costi?

La crisi (quella vera, quella che dura dagli anni '90) ha ribaltato la questione del posto fisso: un tempo si voleva dare al lavoratore la scelta se tenere il posto o meno, ora è in mano al datore. Chi avrà l'ultima parola allora? Chi fa notare la difficoltà a mandar via i fannulloni (che lanciano maledizioni sul mercato del lavoro trincerati dietro l'articolo 18) o chi non vuole che il datore abusi della posizione dominante?

In attesa di studiare un po' di più, la partira rimane più che mai aperta.

Simone Caroli


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