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Mediazione civile: una sfida per il futuro

Da Avvluanaelia

Le resistenze, che una parte dei rappresentanti della classe forense esprime nei confronti della Mediazione Obbligatoria, anche se giustificate da una certa formazione professionale, non si sono rivelate, per questo, meno pericolose.
Hanno, infatti, contribuito a lasciare libero un campo, che rischia di essere occupato dall’analfabetismo giuridico.

La portata rivoluzionaria, che la Mediazione ha in sè non può di certo essere imposta  ex lege. Occorre un mutamento culturale, che partendo dalle università giunga a far cambiare il modo stesso di affrontare i conflitti, semplicemente attraversandoli. Nuova visione non litigiosa della professione forense, dunque, intesa in funzione conciliativa delle controversie.
Gli operatori del diritto, rinnovatisi in questa ulteriore funzione, tornerebbero a occupare il campo che è loro per natura, sottraendolo all’alea dell’improvvisazione, a cui è stato abbandonato.
Un conflitto è un momento di sofferenza e di malattia della società, che richiede di essere sanato, riportando l’equilibrio tra i rispettivi diritti. Ma, ancor prima, richiede un riequilibrio d’interessi, che spesso le aule giudiziarie sottovalutano, ma è garanzia del mantenimento delle relazioni. In questa direzione dovrebbe andare la professione forense, sotto la spinta dei tempi.

Non ha senso disquisire della supposta difformità del Decreto Legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 alla direttiva comunitaria 2008/52/CE.
Ciò mortifica il senso e lo scopo della novella del 2010, facendo perdere di vista il nuovo tipo di società, che con essa si è voluto concepire.
Le polemiche sviluppatesi, dalla sua entrata in vigore e che gli addetti ai lavori ben conoscono, ne offuscano il vero valore. Non ne centrano la vera ratio e, pertanto, non se ne farà qui accenno.

La questione va osservata dalla giusta angolazione.
La novella del 2010 non è, infatti, una mera attuazione della direttiva europea sulla mediazione transfrontaliera.
Essa contiene, in nuce, un progetto di società futura, che seppur espresso con i limiti della tecnica legislativa adoperata, forse non è stato colto dai rappresentanti della classe forense. Gli ampi princìpi, in essa racchiusi, attendono di essere sviluppati. Sono gli stessi operatori del diritto a doverlo fare, proprio perchè chiamati a confrontarsi nel quotidiano della loro professione con i problemi, che essa di certo presenta e a cui non mancheranno di dare soluzione pratica, mentre staranno realizzando quel progetto.

C’è una frase che esprime al meglio il senso della conciliazione: “dover iniziare una causa è una sconfitta, perderla è una tragedia” (Mahatma Gandhi).
Essa si pone, infatti, come metodo alternativo di risoluzione delle controversie.
Cos’è un conflitto? In quel progetto, che il D.Lgs. n. 28 presuppone, è un’opportunità. Non può essere evitato ma può essere gestito positivamente e attraversato, piuttosto che affrontato a muso duro.
I conflitti sono inevitabili, complementari all’interazione umana. Imparando ad attraversarli e a gestirli in maniera nuova, s’impara allo stesso tempo ad accettare la diversità. Il tipo di società, che nel lungo termine ne verrà fuori, sarà a dir poco rivoluzionaria.
Per consuetudine siamo stati abituati ad affrontarli seguendo esclusivamente le vie legali. Nei Tribunali si assiste all’angosciante ricerca delle proprie ragioni e dei torti altrui. Ci si immagina da sempre che la soluzione sia la vittoria sulla controparte e la separazione definitiva da questa.
Risolvere, invece, il conflitto negoziando con la controparte davanti a un terzo, è una grande opportunità, perché permette di arrivare a un’intesa soddisfacente, per entrambe le parti. Quando sono i reali interessi a essere soddisfatti e non questioni di diritto o di legittimità, che, la parte non avrebbe neanche considerato, senza il suggerimento del difensore, è certo che si è salvaguardata la relazione tra le parti. Potenzialmente ci sono i presupposti di un miglioramento per il futuro.
Nel lungo termine ciò porterebbe alla realizzazione di una società civile del tutto nuova, più coesa e serena, perchè meno angosciata da conflitti mal gestiti.

Ecco la novità della mediazione obbligatoria.

Alla classe forense spetta l’ambizioso compito e a coloro che si definiscono studiosi dell’impalcatura della società, ossia del diritto, non ad altri. Creare una società migliore necessita di conoscerne alla perfezione le regole, per sapere a priori dove e come intervenire.
Trincerarsi dietro questioni di diritto non fa altro che lasciare campo libero a quanti ignorano i meandri dell’ordinamento giuridico, che fa da supporto alla società odierna.
Non chiediamoci, dunque, se la mediazione sia o no compatibile con la direttiva europea, quanto piuttosto: saranno capaci i rappresentanti della classe forense, esponenti di una professione non conservativa ma creativa, a cogliere e vincere la sfida di costruzione di una nuova società?


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