Mediazione familiare: quando il conflitto trascende

Da Teresa Laviola @TeresaLaviola
Il Decreto Legge n. 93/2013 sulla violenza sulle donne e sui minori ha introdotto, nell'ambito delle misure cautelari, una serie di importanti modifiche volte a garantire una protezione più efficace alle vittime di lesioni personali, maltrattamenti in famiglia e delitti commessi con violenza alle persone, soprattutto di sesso femminile.
Negli articoli precedenti abbiamo affrontato il tema del conflitto, elemento connaturato in tutti gli esseri umani che, laddove in una relazione come quella coniugale, fatichi a trovare la sua ubicazione costruttiva, può essere efficacemente rigovernato dal mediatore favorendo un cambiamento positivo, anche durante un percorso tanto doloroso quale la separazione e l'affidamento dei figli. Ciò detto, di fronte alle sempre più frequenti (o forse solo più emergenti) violenze familiari, il mediatore è tuttavia chiamato a riflettere su una deformazione totalizzante di questo conflitto quando, appunto, trascende in violenza. Si tratta di una condizione complessa e non sempre esplicita, dove, ad esempio, la vittima è spesso legata al suo aguzzino da una temibile alchimia che la forgia con l'aggressore in un unico crogiuolo, palesando un legame disperante che spesso porta l'aggredito a proteggere e a giustificare l'aggressore.
Altre volte, invece, la volontà della parte offesa di ribellarsi ai maltrattamenti, si manifesta attraverso segnali confusi e contraddittori, spesso soffocati e censurati dalla vergogna e dalla paura; segnali che il mediatore, con esperienza, sensibilità, empatia, deve essere in grado di cogliere.
Quasi sempre, tuttavia, queste relazioni sono caratterizzate da un forte squilibrio di poteri, in cui emerge, anzitutto, la volontà dominante e opprimente dell'aguzzino nei confronti della vittima, spesso velata dalla buona educazione e dal tentativo di controllare il percorso di mediazione; elementi che dovrebbero di per sé rappresentare un campanello d'allarme e spingere il mediatore a fare ulteriori approfondimenti per acquisire maggiori informazioni. 
In entrambi i casi, ci troviamo comunque di fronte a una situazione più che complessa in cui il conflitto è andato, a nostro avviso, ben oltre ogni possibilità di essere mediato. Crediamo, infatti, che, in questi casi, quando il mediatore diviene consapevole delle violenze in atto (siano esse nei confronti della donna, di eventuali minori o dell'uomo –sempre più frequenti sono i casi anche in questo senso), il processo di mediazione si debba fermare per lasciare il campo ad altre discipline più pertinenti per poi, magari, riprendere in un secondo momento (con un altro mediatore), quando, ad esempio, l'azione legale ha messo a tutela le parti coinvolte...
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