Di Gabriella Maddaloni. Continua imperterrito il reciproco spargimento di sangue tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, mentre morti e feriti aumentano da entrambe le parti. E l’Onu condanna senza mezzi termini entrambe le fazioni in guerra, attraverso le parole di Navi Pillay, Alto Commissario dei Diritti umani alle Nazioni Unite: “ Israele ha commesso possibili crimini di guerra e Hamas attacca i civili in modo indiscriminato, senza rispettare i principi di distinzione e precauzione”.
Il segretario di Stato Usa Kerry, da qualche giorno presente in Medio Oriente per lavorare ad una tregua, sta incontrando in queste ore il Segretario Onu Ban Ki-Moon, il premier ebraico Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen. Proprio Kerry sostiene che “c’è stato qualche passo avanti verso la tregua a Gaza, ma c’è ancora molto lavoro da fare”. Stasera alle ore 21.30 locali si riunirà a Tel Aviv il gabinetto di sicurezza israeliano, per decidere in merito alle prossime operazioni militari e ad una possibile tregua. Lo riporta il quotidiano Haaretz.
Il “cessate il fuoco” chiesto dalla Croce Rossa Internazionale a Sarajaya per permettere ai soccorritori il recupero dei morti negli ultimi scontri e lo sgombero dei detriti non è stato accettato; l’ospedale Wafa della zona continua ad essere teatro dei tragici scontri israelo-palestinesi. Secondo la radio militare israeliana, la struttura medica viene usata da “sale di comando di Hamas e della Jihad islamica”, che sparano razzi anti-carro e colpi d’arma automatica. L’esercito ebraico aggiunge che ha attaccato l’ospedale dopo aver avvisato i civili di sgomberarlo.
Si contano attualmente 641 morti e 4030 feriti tra i palestinesi, mentre sale a 29 il numero dei soldati israeliani periti durante gli scontri. Altre 2 vittime ebraiche sono civili. Stamane il ministro degli Esteri ebraico Lieberman ha mosso a Ban Ki-Moon critiche nei confronti dell’Urnwa, struttura dell’Onu dedita ai rifugiati; il suo staff avrebbe scoperto dei razzi di Hamas nelle sue scuole, che “sono destinati ad uccidere Israele ed hanno preferito riconsegnarli ad Hamas, piuttosto che a noi”. Hamas ha lanciato nelle ultime ore “una salva di missili” nel centro e nel sud di Israele, prendendo di mira 4 città in particolare: Rishon Letzion, Rehovot, Ashdod e Ashkelon.
Negli ultimi giorni, varie compagnie aeree mondiali ed europee hanno deciso d’interrompere i voli da e per Tel Aviv in seguito all’esplosione, martedì, di un missile di Hamas vicino l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Tra queste, anche Alitalia. L’ex sindaco di NYC Michael Bloomberg ha però deciso di prendere un volo per Israele, contravvenendo alle disposizioni della Federation Aviation Administration statunitense, in segno di solidarietà a Tel Aviv.
Nonostante lo stop ai voli delle diverse compagnie aeree internazionali da e per Israele, continua il turismo religioso in Terra Santa, e i pellegrinaggi non si fermano. “Non facciamo gli eroi: il nostro è più l’espressione di un coraggio psicologico, che talora in effetti manca e da qui alcune cancellazioni o rinvii di viaggi già prenotati, che non un atto di eroismo. Noi non dobbiamo e non possiamo né mentire e nemmeno minimizzare: ma davvero qui si respira anche oggi serenità e grande solidarietà e proprio noi pellegrini cristiani diventiamo una cerniera di speranza e di fiducia sia per gli israeliani che per i palestinesi”. Sono le parole di Monsignor Andreatta, vicepresidente dell’Orp (Opera Romana Pellegrinaggi) all’Adnkronos che lo ha intervistato a Gerusalemme. Andreatta si trova lì in pellegrinaggio religioso con 78 pellegrini italiani, 5 sacerdoti e il Vescovo di Matera, specifica che le violenze si stanno perpetrando a 200 kilometri dai luoghi della Terra Santa e che “la disdetta da parte di alcune compagnie europee e americane rappresenta solo uno spauracchio, decisioni prese per creare disagio o imbarazzo o panico, più per un fatto politico e mediatico che per un pericolo reale, concreto e incombente”.
Non possiamo essere certi che Monsignor Andreatta abbia ragione, ma sicuramente è un gesto che può portare speranza e un minimo di normalità in luoghi dove la “normalità” sembra un miraggio sempre più lontano e inconquistabile.