La Turchia non è più debitrice nei confronti del Fondo monetario internazionale (Fmi): la scorsa settimana è stata pagata l'ultima tranche del dovuto, azzerando una pendenza che nel 2002 aveva raggiunto il livello record di 23 miliardi e mezzo di dollari. Complessivamente, la Turchia ha ricevuto dall'Fmi - dal 1947 al 2008 - circa 50 miliardi di dollari, che sono stati messi a frutto solo nell'ultimo decennio, con le riforme dell'ex ministro Kemal Derviş e successivamente dai governi dell'Akp, abili nel mantenere la disciplina finanziaria richiesta. Nonostante trattative successive, il primo ministro Erdoğan ha deciso di fare a meno di ulteriori finanziamenti: un pò perché l'economia turca non ne ha più indispensabile bisogno, un pò perché il suo premier - lo ha spiegato di fronte alle telecamere, con una gestualità eloquente - non vuole avere più nulla a che fare "con dei funzionari che vorrebbero spiegarmi come devo fare politica".
Il messaggio di Erdoğan è arrivato in un contesto prestigioso e solenne, quello del ventiduesimo meeting annuale della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Ebrd, nell'acronimo inglese), che si è tenuto a Istanbul l'10 e 11 maggio. Oltre che delle attività della banca, della Turchia come "storia di successo", dell'andamento dell'economia globale attraverso panel di esperti, nella due-giorni in riva al Bosforo si è parlato anche dei Paesi "Semed" (i paesi del Mediterraneo meridionale e orientale), che sono stati - attraverso la partecipazione dei primi ministri di Tunisia, Giordania ed Egitto - gli ospiti d'onore della cerimonia inaugurale. Questi tre Paesi e il Marocco, infatti, dallo scorso autunno - e in attesa di diventare quanto prima membri a pieno titolo - hanno acquisito lo status di "potential recipient country" e hanno cominciato a beneficiare dei finanziamenti e dell'assistenza tecnica dell'Ebrd. Per la banca con sede a Londra è una vera e propria rivoluzione, visto che è stata creata nel 1990 con l'obiettivo di favore la transizione delle repubbliche ex sovietiche e delle ex "democrazie popolari" dell'Europa orientale, dall'autoritarismo e dal dirigismo alla democrazia e all'economia di mercato.
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