Sono stati arrestati dai dittatori, il fondatore Kim Dotcom e altri manager. Perchè? Hanno infranto il copyright.
Questo è quello che compare se proviamo ad accedere al sito di hosting:
Lo ha comunicato il ministero della Giustizia degli Stati Uniti, aggiungendo che Megaupload è accusato di aver inflitto danni per 500 milioni di dollari di mancati incassi con la pirateria di film e di altri contenuti. Come si può leggere, è più di una l’infrazione commessa dal sito. La mossa della giustizia statunitense e della polizia federale (Fbi) arriva a poche ore di distanza dalla grande protesta organizzata sul web dall’enciclopedia online Wikipedia (che si è auto-oscurata) e da altri siti contro il cosiddetto “Sopa” (Stop Online Piracy Act), la legge contro la pirateria web in via di approvazione da parte del Congresso americano. Protesta che si è risolta in un rallentamento dell’iter della legge. Ma l’azione contro Megaupload dimostra che la giustizia, sotto la pressione delle major cinematografiche e musicali, non ha rinunciato all’impresa di stroncare lo scaricamento di contenuti protetti da copyright. Tra l’altro Kim Dotcom è stato arrestato in Nuova Zelanda (una delle sue due residenze, l’altra è Hong Kong, mentre lui ha doppia nazionalità, tedesca e finlandese) su richiesta ufficiale degli Stati Uniti, il che significa che l’azione americana ha avuto, almeno in questo caso, l’appoggio di un’altra autorità nazionale.
Il gruppo di hacker Anonymous ha sferrato una controffensiva senza precedenti, un’operazione di hackeraggio che in molti già chiamano “WWWW” (World Wide Web War). In poche ore, erano down i siti della major discografica Universal, della RIAA e dell’MPAA (due delle lobby più influenti in tema di copyright) e addirittura dell’Fbi e del Dipartimento di Giustizia americano. Alcune fonti parlano addirittura di 30mila computer collegati da cui partivano gli attacchi. Una vera e propria guerra della Rete, non c’è che dire, che alza il livello dello scontro sul controverso tema del copyright sul Web.
Megaupload, che ha circa 150 milioni di utenti registrati, non è un sito di file sharing peer-to-peer (tipo il vecchio Napster, oppure Kazaa ed eMule), ma un software che consente agli utilizzatori di scaricare file troppo grandi per essere inviati via e-mail, come film, giochi, serial tv, mentre i profitti di Megaupload derivano dall’eventuale scelta , da parte dei clienti, di utilizzare connessioni superveloci per il download rapido. Tutte cose in sè e per sè perfettamente legali. Ma la Motion Picture Association of America, l’associazione dei produttori cinematografici Usa, ritiene che il principale uso di Megaupload sia l’invio di contenuti protetti da copyright (soprattutto film), una tesi alla quale la giustizia americana, con la sua azione di giovedĂŹ, sembra dare credito.
Megaupload dal canto suo, gode di un certo appoggio da parte di alcune celebrità della musica e del cinema (che teoricamente dovrebbero figurare tra i soggetti danneggiati dalla sua esistenza) come Kim Kardashian e Alicia Keys. E poi il suo fondatore è una specie di primula rossa del web, un hacker tedesco che ha almeno tre o quattro nomi e, secondo Wikipedia, ha già avuto in passato guai con la giustizia, anche per reati ben poco romantici tipo truffa con le carte di credito e insider trading. Subito prima della sua chiusura da parte delle autorità federali, Megaupload ha pubblicato sul sito una nota sostenendo che le accuse di pirateria a suo carico sono grottescamente esagerate. “Il fatto – continua la nota – che la grande maggioranza del nostro traffico è legittimo e noi non ci faremo togliere di mezzo. Se l’industria di contenuti vuole trarre vantaggio dalla nostra popolarità, saremo felici di intavolare un dialogo. Abbiamo alcune buone idee in proposito. Per favore prendete contatto con noi.”
Comunque sia, Megaupload è gia on-line da un’altra parte, per questioni legali non posso dirvi dove. E’ un brutto periodo: c’è crisi, c’è manovra e da oggi incominciano a gambizzare il Web.