ci siamo avvicinati con un certo sospetto a Better Call Saul, attesissima costola di quel Breaking Bad che è sicuramente una delle serie di maggior successo di tutti i tempi nonché quella che ha convinto l'intero globo terracqueo che anche i prodotti per il piccolo schermo possono avere un'inattaccabile dignità narrativa. Abbiamo quindi approcciato allo spin-off con qualche dubbio perché temevamo un effetto fiaccamente emulativo ma, con indubbio sollazzo, il nostro scetticismo si è rivelato infondato ed è andato a farsi friggere sin dalla visione del primo minuto del primo episodio dei dieci stagionali.
Vince Gilligan, penna geniale cui si deve l'universo di Breaking Bad per la AMC, ha saputo ripetere il miracolo sfruttando la popolarità di uno dei comprimari più amati, il pacchiano e intraprendente avvocato della mala Saul Goodman (Bob Odenkirk). La serie a lui dedicata è appunto uno spin-off, ma è anche prequel della serie madre, della quale gli appassionati tornano per magia a respirare le atmosfere, i ritmi e gli intrighi. Merito della fotografia saturata che immortala gli sconfinati spazi desertici accarezzati dalla chiarità azzurra del New Mexico e di una selezione musicale davvero azzeccata come colonna sonora, ma anche e soprattutto del protagonista - un Oderkirk miracoloso nella sua interpretazione, capace di infondere grinta e frustrazione ad un personaggio intenso e contraddittorio - nel cui percorso esistenziale lo spettatore è in grado di leggere l'humus dell'epopea shakespeariana a venire e degli sviluppi della quale, tra l'altro, siamo già a conoscenza al pari di dei onniscienti.
La storia narra il passato dell’avvocato male in arnese, ma Saul incontra numerose vecchie conoscenze sulla sua strada. Sicché, per i drogati in astinenza delle vicende di Walter White, domande del tipo Cosa faceva Mike prima di diventare un nonno killer? oppure Come ha fatto Tuco a diventare signore della droga? trovano finalmente una risposta. [qualche SPOILER] Eppure il serial ha un suo precipuo fascino che funziona in maniera assolutamente autonoma, slegata da ciò che accadrà nelle puntate di Breaking Bad. Anzi, rispetto a quello, dal punto di vista meramente drammaturgico ci è sembrato che Better Call Saul possegga addirittura una compattezza e una linearità decisamente più riuscita. Il James M. McGill (nome vero di Saul Goodman nella finzione) è esattamente il personaggio che conosciamo, ma ci è riservata l’emozione di scoprire i come e i perché della sua genesi, inciampato in una malavita che finirà - suo malgrado - per tirarlo fuori da un’infinita sequenza di beghe finanziarie ulteriormente funestati dalla bassa autostima; fino a che, dalle ceneri dell’avvocato goffo e sfigato che lavora nel retrobottega di un nail parlour asiatico, la seconda identità di Saul Goodman emergerà come una potente chimera.E se era straordinariamente iconico il look con cappello e occhiali da sole di Walter White, insegnante di chimica al liceo che si trasforma prima in tecnico di laboratorio per uno spacciatore messicano e poi in narcotrafficante (pluriomicida, compresa l’organizzazione di una strage di complici in carcere, per evitare «soffiate»), qui il vestiario di Saul Goodman è particolarmente indovinato e definisce perfettamente lo spirito e i toni tragicomici della sua parabola. I capelli, le giacche: la sua ascesa - e caduta - sono la storia di un uomo ridicolo. Ma decisamente irresistibile.