Correva l’anno 1973 e Dacia Maraini fondava a Roma il Teatro della Maddalena. Antro femminista, luogo dove mettere in scena le tragedie della società. Tra le tantissime opere teatrali della scrittrice “Dialogo di una prostituta con un suo cliente”, “Maria Stuarda” e “Stravaganza”. Meno nota è “Mela” scritta nel 1981 e rappresentata al Teatro Comunale Rossini di Ancona l’anno successivo con protagonista Elsa Merlini, ormai ottantenne, in una delle sue ultime interpretazioni. In cartellone al Teatro Brancati di Catania, la pièce mette a confronto tre generazioni di donne: la nipote Carmen (Luisa Ippodrino), la figlia Rosaria (Debora Bernardi) e la nonna Mela (Alessandra Cacialli). Odio, rabbia, invidia, competizione le legano sotto lo stesso tetto. Le scelte del regista Romano Bernardi, consistenti in alcuni tagli al testo originale, complesso perché di parola, lo coinvolgono in prima persona essendo le interpreti di Rosaria e Mela rispettivamente la moglie e la figlia. “Mela” nasce come dramma radiofonico, ma l’intento di esaltare la parola in realtà viene meno in questo caso. Nient’affatto una commedia, ma anzi un dramma ricco di tematiche serie, che, a giudicare dalle risa del pubblico, non si mettono affatto in luce. Il tentativo di innovazione risulta piuttosto fiacco nei diversi aspetti della mise en scène. C’è una grande parzialità di fondo data dai tagli di alcuni passaggi ma anche dall’intera macchina teatrale. La scenografia curata da Cinzia Puglisi è statica: effettivamente c’è ben poco da fare quando ci troviamo all’interno di una cucina ma non si percepisce assolutamente quel luogo come stanza della tortura.
Manca un’estetica della scena, una ricerca accurata, un’armonia dei colori. Anche la recitazione è piuttosto monotona e monocorde. L’interpretazione della Ippodrino rimanda molto ad una adolescente protagonista dei film di “mocciana” memoria: Carmen vive tutto un dissidio interiore ed è portabandiera di una generazione ribelle, di un’età dove si deve essere a tutti i costi controcorrente per essere tenuti in considerazione. Dire che ciascuna delle protagoniste segue un proprio leitmotiv è limitante. Rosaria non è solo ossessionata da un amore platonico per un uomo e la passione per la rivoluzione cinese; Carmen non sente solo il peso di vivere in quel determinato contesto socio-familiare fatto di due figure femminili così granitiche; Mela non sta a bighellonare tra vari flirt solo per allontanare l’idea della morte. Anche nella Bernardi e nella Cacialli manca quel lavoro sul personaggio fondamentale in un’opera così laboriosa. In conclusione, innegabile che per “Mela” si possa parlare di un inno agli ideali post-sessantottini ma anche di meccanismi psicologici che si attivano in alcune donne, sebbene non sempre tali dinamiche emergano in tutta la loro forza dalla rappresentazione.
Per gli scatti inseriti in questo articolo si ringrazia il Teatro Brancati di Catania – Fotografie di Ambra Favetta