Cosa fareste se un pianeta dieci volte più grande della Terra dovesse scontrarsi inevitabilmente con essa? Per coloro i quali la vita è una sofferenza continua e vedono la morte come unica via di salvezza potrebbe essere una consolazione; per tutti gli altri invece (che in ogni caso, come i primi che ho citato sopra, hanno comunque paura di morire) sarebbe un’agonia, un’ attesa terrificante aspettando impotenti la fine inevitabile.
Questa è pressappoco la sensazione che ho avuto guardando questo film, diretto dal grande Lars Von Trier, un talento indiscusso del cinema mondiale, e non ho alcuna difficoltà a definirlo come uno dei più grandi registi nella storia del cinema, i quali lavori, per la maggior parte, mi hanno molto turbato, affrontando argomenti scomodi con un cinismo radicale, e uno stile freddo, gelido, crescendo sempre di più da “Idioti” ad “Antichrist”, e toccando l’apice con questo Melancholia, che però sa anche essere molto poetico, ma alla fine del quale ero letteralmente DEVASTATO.
Inizia con il matrimonio di una ragazza, Justine (Kirsten Dunst), la quale ha delle evidenti turbe psichiche, visibili anche dai suoi repentini cambi di umore; tuttavia la ragazza ha una straordinaria facoltà, insita nella sua natura: sapere le cose, senza averle mai studiate, nè viste, ma dettate da una specie di sesto senso. La cerimonia si svolge in una lussuosa villa, con tutti i familiari e gli invitati, tra cui anche la sorella di Justine, Claire (Charlotte Gainsbourg); durante la cena e i festeggiamenti tutto procede normalmente: si mangia, si chiacchiera, il marito di Claire gioca un po’ con Justine, mettendo alla prova la sua abilità, chiedendogli quante buche ci sono nel loro campo da golf (18) e quanti fagioli ci sono in un barattolo posizionato in una stanza dell’abitazione (678), lei intanto non è più sicura di aver fatto la scelta giusta sposandosi, e a un certo punto, lontana da tutti, tradisce il marito con un altro uomo; alla fine della serata i neo sposi capiscono entrambi di aver fatto la scelta sbagliata, e si lasciano, mentre gli invitati se ne vanno, ognuno con i propri problemi, le propire ossessioni, i propri pregi e i propri difetti.
E questa è pressappoco la prima metà del film, che racconta appunto di una una “quotidiana” normale vicenda, come ce ne possono essere tante altre nel mondo, con i comportamenti personali e soggettivi delle persone come filo conduttore; insomma, per la prima metà viene raccontata una storia cosiddetta “standard”, un piccolo microcosmo riguardante un gruppo di esseri umani…..ma l’Universo è indifferente a questo.
E’ dalla seconda metà del film che i nostri personaggi (e noi) vengono a conoscenza di un pianeta, Melancholia, dieci volte più grande del nostro, che dovrebbe incrociare la sua traiettoria con la traiettoria della Terra; con il passare del tempo Melancholia diviene sempre più visibile, poi a un certo punto sembra allontanarsi, senza mai però scomparire dalla visuale dell’orizzonte; a questo punto iniziano a circolare voci in Internet di un gruppo di scienziati in disaccordo con le normali teorie del resto del mondo, poichè secondo loro il breve allontanamento del pianeta con la Terra sarebbe solo un breve tratto della sua traiettoria ellittica, al quale seguirebbe un progressivo ed inevitabile avvicinamento, fino allo scontro tra i due pianeti.
E’ lo stato d’animo dei protagonisti a farla da padrone, non ci troviamo di fronte a un film d’azione catastrofico stile Armageddon (peraltro, a mio avviso, molto bello), qui mano a mano che la vicenda prosegue, tutti si rendono conto di essere impotenti di fronte a un evento del genere (del resto cosa potrebbero fare), e la disperazione regna sovrana: Claire sopratutto è quella che sembra risentirne di più, e suo marito (che era uno dei sostenitori della teoria che escludeva l’impatto) si suicida, lasciandola con il figlio piccolo e con Justine.
Justine non sembra disperata all’apparenza, vede la morte come parte stessa della vita (non c’è la vita se non c’è la morte, e non c’è la morte se non c’è la vita), dall’alto della sua abilità di conoscere rivela alla sorella che la vita esiste solo sulla Terra, per puro caso, e che non c’è nessun Dio che ha creato l’Universo; le due sorelle e il bambino si recano in giardino, costruiscono una specie di “grotta magica” con dei bastoni che dovrebbe salvarli dalla catastrofe (questo raccontano al piccolo), si siedono al suo interno, poi, tra le lacrime e la rassegnazione, Melancholia si scontra con la Terra, distruggendola.
Tutto è girato con una maestria unica, dalle riprese, alla fotografia, ai colori, alla sceneggiatura, agli attori: Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, John Hurt, tutti meravigliosi; gli effetti speciali sono straordinari, qui si vede che il regista ha avuto a disposizione un budget molto alto, stile Hollywood, che gli ha permesso di fare un ulteriore salto di qualità dal precedente (e dai precedenti) capolavoro: Antichrist.
Antichrist ha una violenza psicologica incredibile, era a mio avviso il suo film più shocckante, fino a Melancholia (ma devo ancora vedere Nymphomaniac).
Il pessimismo cosmico e la totale indifferenza dell’Universo al bene e al male sono la forza portante di questo film, che, come detto sopra, inizia come tanti altri, per poi proseguire in un crescendo di disperazione a un evento terrificante, che ci trasporta come fossimo anche noi al suo interno, fino all’epilogo finale.
Ma forse non tutto è perduto: come vi ho già accennato, nella prima metà del film John (Kiefer Sutherland), il marito di Claire, gioca con l’abilità di Justine di sapere le cose, e a un certo punto le chiede il numero di buche del loro campo dal golf; lei risponde 18, come in genere 18 è il numero di buche che costituisce la maggior parte dei campi da golf (possono variare da 9 a 18), ma nelle scene finali, quando vanno in giardino ad attendere la propria fine, Claire passa davanti ad una buca, avente una bandierina con scritto sopra il numero 19, segno che forse Justine non sa tutto, che forse la morte non è la fine di tutto, che forse non è tutto vano, che forse non dobbiamo avere paura, che forse potrebbe esserci un Dio al di sopra di tutto, la cui esistenza, malgrado i nostri sforzi, non potremmo mai provare.
EDOARDO ROMANELLA