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Melancholia: il Piacere dell’Apocalisse

Creato il 07 novembre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Melancholia: il Piacere dell’ApocalisseChe cos’è la fine del mondo se non il lamento che precede lo schianto? E quale fine del mondo peggiore può esserci di quella a cui l’umanità si è già consegnata con le sue stesse mani? «La vita è solo sulla terra. E non dura così a lungo»,dice a un certo punto del film una consapevole (o preveggente?) Kirsten Dunst all’atterrita sorella Charlotte Gainsbourg nell’imminenza dell’impatto fra il pianeta Melancholia e la Terra. La fine del mondo per Lars Von Trier è stata già scritta dagli uomini ed è per questo che la terra non merita più di sopravvivere. Il tipico nichilismo del regista danese arriva probabilmente ai suoi estremi in questo controverso “Melancholia”, discussa ultima opera presentata a Cannes 2011 tra i tizzoni ardenti di una polemica nata dalle sue dichiarazioni provocatoriamente filo-naziste; un gioco di battute («comprendo Hitler…») che gli è costata un’espulsione “personale” dal festival, ma non quella della pellicola che ha fatto comunque incassare il premio come miglior attrice a Kirsten Dunst. Al di là di qualsiasi presa di posizione sull’autore, personaggio fobico, controverso e provocatore capace di lanciare un manifesto cinematografico estremo come il “Dogma” per poi sconfessarlo anni dopo, è innegabile che il suo cinema sia di quelli che segnano; così sfrontatamente chiuso a qualsiasi grammatica dei tempi filmici e così mirabilmente spalancato di fronte agli abissi morali dei drammi messi in scena.

Melancholia: il Piacere dell’Apocalisse

Un cinema che non fa sconti allo spettatore ma piuttosto chiede a questi un’adesione totale alla sua prospettiva sia etica che estetica. Le sue sono opere che disturbano, violentano talvolta e sovente travolgono sotto il peso del loro plumbeo esistenzialismo, ma di certo non lasciano indifferenti ed è forse per questo rappresentare un valido antidoto alla diffusa narcolessia del cinema moderno che vanno custodite gelosamente. Non fa eccezione questo “Melancholia” dove il regista compie il suo gesto cinematografico più estremo, mettendo in scena una fine del mondo che non potrebbe essere più lontana da certe “rassicuranti” rappresentazioni hollywoodiane. E del resto, per Von Trier abituato a filmare ben altre apocalissi umane, la vicenda della Terra e del pianeta Melancholia che sta per impattare su di essa, non è che il pretesto per inscenare un dramma da camera intenso e dagli echi bergmaniani, la cui scansione cinematografica – due atti per due sorelle e due differenti modi di rispondere all’imminente catastrofe – è rivelatrice di quel dualismo (uomo/natura) già introdotto con “Antichrist” ed al quale evidentemente il regista attribuisce un certo significato metaforico.

Melancholia: il Piacere dell’Apocalisse

Terra. Atto primo.

Interamente dedicato a Justine, novella sposa alle prese col suo gruppo di famiglia in un interno e la propria inquietudine borghese; il male di vivere la porta a mandare a monte il proprio matrimonio e la propria sanità mentale sradicando al tempo stesso false maschere di perbenismo familiare. Justine come la giustizia, l’onestà o l’impossibilità di tacere ogni verità. Il suo personaggio trova un’ignota assonanza fra se stessa e il pianeta Melancholia e forse, in fondo, è proprio lei la prima vittima del suo influsso di follia e di verità; tutti i gesti compiuti da Justine, dal sesso occasionale alla distruzione della carriera, altro non sono che differenti modalità del medesimo disegno distruttivo.

Melancholia: il Piacere dell’Apocalisse

Terra. Atto secondo.

Interamente vissuto attraverso lo sguardo inquieto e allarmato della sorella Claire, la metà razionale e inconsapevole di Justine; Claire accudisce la famiglia e la sorella vivendo sulle false rassicurazioni del marito ed illudendosi di poter contare ancora su un domani che, come avverte Justine, già non esiste più. Claire, come chiarezza, luminosità ma anche ostinazione nel portare alla luce quella verità che le viene costantemente nascosta; non per esorcizzarla ma piuttosto per cercare disperatamente di sfuggirle.

Melancholia: il Piacere dell’Apocalisse

Von Trier racconta il lamento prima dello schianto e mette in scena attraverso il suo dramma dicotomico (Terra-Melancholia, Justine-Claire, Ragione-Istinto) la luttuosa presa di coscienza dell’uomo di fronte alla sua finitezza. Ancora una volta si affida alla donna che – contrariamente a chi lo accusa di misoginia – rimane per il cineasta l’unica voce a cui affidare la sua verità (e del resto che cos’era “Antichrist” se non il grido disperato della Donna, la vera madre natura “obliata” da secoli e secoli di vessazioni?). Il suo però non suona come un lamento funebre intonato agli ultimi giorni della terra quanto come la resa sorda e ineluttabile di un’umanità di fronte a quel nulla in cui è costretto a rispecchiarsi; riflesso ideale di un’ideologia atea, ma anche visivamente molto reazionaria, di un regista che mette in scena le sue stesse contraddizioni d’autore e di essere umano. Come spesso accade nel suo cinema anche in “Melancholia” non c’è un punto di vista morale a cui poter pienamente aderire lungo la visione del film; la premeditata inverosimiglianza dei suoi personaggi (grotteschi, isterici e imprevedibili) rende gli stessi figure meramente funzionali al discorso e spesso più facili da piegare ai meccanismi masochistici del racconto (vedi le dinamiche che animavano il mélo de “Le onde del destino” o il sadismo che dava luogo alle frizioni horror di “Antichrist”) piuttosto che soggetti in cui potersi realmente identificare.

Melancholia: il Piacere dell’Apocalisse

È questa probabilmente la ragione che di frequente fa diventare molti critici irritabili e insofferenti ai suoi lungometraggi: per Von Trier spesso conta più la rappresentazione del calvario che il percorso morale in esso implicito, né nelle sue opere è lasciato spazio a un punto di vista ulteriore rispetto a quello assoluto del regista. Arroganza intellettuale? Vanità o semplici velleità autoriali utili a mascherare il vuoto? Impossibile rispondere con esattezza di fronte a pellicole così dense che alternano cinismo e bellezza, dove il mélo classico viene “contaminato” dal misticismo rigoroso e punitivo (“Breaking the Waves”) o dove l’orrore della follia viene illuminato da lampi di innegabile poesia (“Antichrist”). Non che dal suo sguardo cinico e paranoico non riesca a filtrare anche una certa pietas nei confronti dei personaggi, ma è la modalità con cui si perviene a questa a destare probabilmente fastidio: l’autolesionismo sfacciato (si pensi anche a “Dogville”) e l’evidente compiacimento che accompagna le rappresentazioni di una simile umanità sono forse il frutto di una malcelata misantropia; che poi questa sia più o meno condivisibile dipende solo dalla predisposizione personale di chi guarda.

Melancholia: il Piacere dell’Apocalisse

«La gente è cattiva. La terra merita di essere distrutta. Nessuno ne sentirà la mancanza», dice Kirsten Dunst; pessimismo e nichilismo del regista si incontrano e il risultato è Melancholia, pianeta-metafora quasi come Solaris, simbolo della fine ma anche di uno stato d’animo personale, quel triste flirtare con il lutto che è il solo sentimento possibile per Von Trier. Accantonato il panismo minaccioso di “Antichrist”, con “Melancholia” firma un ideale controcanto a quell’opera intrisa di furore e poesia, abbandonandosi stavolta ad un sentimento di più docile rassegnazione che finisce per scivolare, almeno nel personaggio di Kirsten Dunst, in una lenta e inesorabile atarassia. Tutto è già compiuto, come annuncia esplicitamente lo splendido prologo che condensa in suoni (“Tristano e Isotta” di Wagner) ed immagini di ricercata bellezza (i cosiddetti tableaux vivants), gli attimi che precedono il cataclisma. Von Trier preconizza così la catastrofe e lascia che il film parli dell’unica cosa possibile: la presa di coscienza dell’uomo nell’attesa del nulla che verrà dopo di lui. Perché quella fine del mondo tanto temuta non è che un riflesso del disagio dell’uomo contemporaneo. Forse Melancholia ci aveva già colpiti. Siamo noi che non ce ne eravamo accorti.

Melancholia: il Piacere dell’Apocalisse


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