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L’ultimo film di Lars Von Trier apre la scena con un meraviglioso prologo a rallenty, costituito da una serie di immagini inquietanti, accompagnate da un'angosciante colonna sonora in crescendo. Un mix così perfetto, nella sua semplicità, da essere in grado, attraverso un fascino enorme, di lasciare lo spettatore stupefatto e a bocca aperta.
Diviso in due parti, "Justine" e "Claire", la storia di "Melancholia" comincia con un matrimonio, quello di Justine, e lo usa come pretesto per descrivere alcuni dei suoi personaggi più significativi, mostrandoli in ridottissimi atteggiamenti, tanto sintetici quanto saturi di significato. In questo modo la seconda parte del film, concentrata sul difficile rapporto tra le due sorelle e sull'avvicinamento del pianeta Melancholia alla Terra, diventa una sorta di raccolto di tutto quello che, seminato precedentemente, ancora non aveva assunto una forma abbastanza concreta e tangibile.
Il fulcro del racconto, ovviamente, è la Justine interpretata dall’eccezionale Kirsten Dunst, tanto versatile da riuscire a mutare rapidamente da neo-sposa felice a donna depressa e confusa, trovando poi un suo personale equilibrio nella parte finale della pellicola. L’attrice, premiata per la sua performance con la palma d’oro a Cannes, sfrutta abilmente il suo viso scavato e malinconico per fornire al suo personaggio un interpretazione sempre misurata e mai fuori dalle righe (il primo fotogramma del film in cui c’è un suo primo piano è agghiacciante). A dividere (non proprio egualmente) la scena con lei, la bravissima Charlotte Gainsbourg, nelle vesti della adorabile sorella Claire nonché (forse) unico personaggio positivo del film.
Quello che Lars Von Trier cerca di esporre, è un ritratto ultra pessimistico della nostra umanità, sempre spregevole e intenta ad apparire. La sua visione è tanto lucida da costringerci a pensare, quasi in modo ricattatorio, perché mai dovremmo sperare di essere salvati nel caso in cui la fine del mondo si presentasse davanti ai nostri occhi. Perché dovremmo piangere la terra? Un posto così malvagio (dice, più o meno, la Dunst in una scena del film).
Un'immorale concezione, purtroppo nemmeno del tutto rinnegabile. Infatti, guardando il film, non ci sembreranno poi così lontani i comportamenti di una madre ostile nei confronti della propria figlia (una ficcantissima Charlotte Rampling), di un padre assente ed immaturo o di un capo spregevolissimo. Tanto meno incomprensibili saranno poi le reazioni manifestate dai personaggi nella parte conclusiva del film (Kiefer Sutherland su tutti).
A Cannes, dopo le discutibili esclamazioni su Hitler, è stato etichettato “persona non gradita”, episodio che di certo ha penalizzato non poco i riflettori puntanti sul suo film. Ma complessivamente, nonostante alcuni difetti presenti sia nella prima che nella seconda parte, “Melancholia” rimane un’opera assolutamente splendida, potente e affascinante, capace di toglierti il fiato all’inizio e di rifilarti un grosso cazzotto ben assestato sullo stomaco alla fine, per poi inondarti di un’immensa tristezza allo spuntare dei titoli di coda. Una suggestione che prosegue, lievitando nello stomaco, per giorni e giorni, proprio come faceva benissimo il “The Tree of Life” di Malick.
E se Von Trier è capace di queste cose, per quanto mi riguarda, non può essere affatto “persona non gradita”, anzi.
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