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Melancholia: von Trier abbandona il Dogma

Creato il 04 ottobre 2011 da Pianosequenza

Melancholia: von Trier abbandona il Dogma

Melancholia (Melancholia)
Lars von Trier, 2011 (Danimarca, Francia, Germania, Svezia), 130'
uscita internazionale: Festival di Cannes 2011
uscita italiana: 21 ottobre 2011
Melancholia, imperscrutabile pianeta blu in rotta di collisione con la Terra, veglia sulle disavventure di due sorelle con evidenti disturbi emotivi. La più giovane (Kirsten Dunst) è afflitta da una psicosi che le impedisce di essere felice persino nel giorno del suo matrimonio perfetto; per lei l'apocalisse imminente è una sorta di piacevole liberazione dalle miserie della vita. L'altra sorella (Charlotte Gainsbourg) vive invece con patologica ansia l'eventualità del disastro e tenta di cullarsi nelle rassicurazioni del marito scienziato (Kiefer Sutherland), convinto che non accadrà nulla di terribile. Come chiaro sin dal principio, si sbaglia.
Ci sono due fondamentali motivi per i quali vale la pena di vedere Melancholia: la evocativa sequenza iniziale – nella quale il genio visivo di Lars Von Trier ha modo di esprimersi in una totale, anarchica, libertà – e le irresistibili fossette che illuminano il viso di Kirsten Dunst quando sorride. Purtroppo per il regista danese, entrambe fanno la loro comparsa già nei primissimi minuti della pellicola: da lì in poi l'intero film si sviluppa con pigrizia, indirizzato verso l'inevitabile finale. Von Trier, dogmatista redento dal 2005, ha infatti deciso di rinnegare gli anni della fedeltà al provocatorio manifesto che dipingeva come demoniaci budget elevati ed effetti speciali (ma anche colonne sonore, scenografia ed ogni altro elemento in grado di rendere piacevole un'opera) catapultandosi in un baccanale di meravigliosi contrasti luminosi, slow motion e digital efx di ogni genere. Anche l'osteggiato (nel lontano 1995) contrappunto musicale diviene parte integrante, se non vero e proprio fulcro, della narrazione, col ciclico risuonare delle commoventi note wagneriane del Preludio da Tristan und Isolde quale perfetta cornice per il malinconico trascinarsi della storia. C'è un perenne senso di angoscia che pende sulle vicende dei protagonisti, anche quando questi sembrano intenti a divertirsi in un ambiente iper-protetto. Si tratta di quella “melancholia” che affligge il personaggio della Dunst ed è uno stato mentale: la depressione. Come dichiarato a Cannes dallo stesso regista, è proprio questo il soggetto del suo film, più che l'apocalisse; uno dei mali del nostro secolo del quale si fatica a comprendere la gravità. Tutti i familiari di Justine-Dunst continuano a raccomandarle di sorridere, incapaci di immaginare il motivo per cui non ci riesca nonostante il costosissimo matrimonio “da favola” che le hanno preparato. Persino la sorella ammette di “odiarla, a volte” per i suoi comportamenti inspiegabili. È pronta però la soluzione definitiva, l'enorme ed ammaliante pianeta blu nel quale la melancholia prende minacciosa forma. Adesso anche Claire-Gainsbourg può finalmente provare empatia per la condizione di Justine, di fronte alla prospettiva di vedere il suo mondo perfetto sparire da un istante all'altro; è proprio in questi istanti che invece la sorella più piccola trova una nuova dimensione, in perfetta comunione con l'imminente destino, garantendo ad entrambe una serena uscita di scena – e garantendo a Von Trier una notevole conclusione. Resi al cineasta scandinavo i giusti meriti in quanto a stile e allegorie, resta però forte l'impressione che molto del materiale presente nella parte centrale del film sia quasi “di riciclo”, con l'utilizzo di qualche idea stantia proposta con ritmo troppo spesso noioso. Le interpretazioni di tutto il cast – nel quale figurano con, purtroppo, poco più che camei anche Charlotte Rampling, John Hurt e Udo Kier, nel ruolo di disperato wedding planner – sono estremamente convincenti; in particolare le due protagoniste restituiscono i loro personaggi con intensità tale da coinvolgere in pieno uno spettatore piuttosto narcotizzato dalla cadenza della narrazione, e riescono nell'impresa di “salvare” una buona parte del film. La sequenza finale porta a termine l'opera, ripagando (nella sua prevedibilità) ogni aspettativa. Provocazione (troppo) prolissa.

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