L’offesa che noi subiamo è un’occasione di crescita, di evoluzione mentale, esistenziale, spirituale. No, lei non è solo male. È uno strumento (e senza dubbio il più grande) che può portarci a trascendere i nostri limiti. L’offesa può avvicinarci alla gioia perfetta, se la accettiamo, la sosteniamo, la convertiamo nell’energia che trascende l’umano e che ci fa poi creature divine. Ecco tre donne emblematiche nella Divina Commedia: Francesca da Rimini, Pia de’Tolomei e Piccarda Donati. Tutte tradite dai loro amanti o mariti, dalla famiglia. E uccise o obbligate a scelte forzose che ne han causato la morte. La prima fra loro ricorda: e non perdona. Così quel rancore la chiude all’inferno. L’altra che segue rammenta: ma non accusa, non si ribella, si fa portare dal male più in alto — sopra quel monte del purgatorio — verso il giardino, i suoi frutti e i suoi fiori. L’ultima ha ormai trasceso tutto l’orrore: lo ha regalato a suo Padre che ora è con lei, che l’abbraccia e la ama infinitamente, in paradiso. Non crede al male assoluto dentro l’umano quest’ultima donna. Il male è solo una parte (una maschera) del nostro Bene interiore: quello che è essenza e sigillo ineguagliabile, che non possiamo riuscire mai a estirpare. E lui ci vuole, ci chiama, quel Bene.
Ma tu… tu dove sei, disgraziata del nostro tempo?… dove sei andata, Melania? Noi siamo offesi da quell’inganno d’amore che ti ha condotto alla morte. Io spero sempre comunque che il tuo bosco nero, dove hai iniziato quell’altro viaggio, diventi presto per te un giardino… e che da quello tu possa andare più in alto.
Marino Alberto Balducci