Lo sappiamo, ormai è diventato un mantra, il problema della sostenibilità, della ricerca di un modello che nella transizione verso il digitale riesca a rendere sostenibile economicamente le evoluzioni in corso è lo scoglio da superare sul quale fiumi di inchiostro [e exbibit] vengono versati quotidianamente.
Andrew Miller, CEO del Guardian Media Group, durante un suo speech ieri al convegno londinese Digital Media Strategies, ha ricordato la strada scelta fatta sostanzialmente di incremento del valore dell’advertising, fatto di crescita dell’audience ma anche di grande attenzione ai dati ed al valore aggiunto che questi hanno per creare soluzioni pubblicitarie interessanti per le aziende, e di “openess”, di apertura nei confronti dei lettori, dei cittadini, nonché di non adozione di alcuna sorta di paywall [full, metered, reversed].
Questo non significa ha spiegato Miller che si rinunci ai ricavi dalla vendita di contenuti ai lettori, bensì che deve essere fatto in modo diverso: attraverso programmi di membership.
“We recognise we have to get more direct-to-consumer revenue over time and the way we will do that is through membership-type propositions, but it’s going to be much more than a paywall. A paywall is to me an inverse loyalty scheme, where the more you consume the more you pay, which doesn’t seem to work.”
Proprio di membership, come elemento di un “modello di business 2.0″, evoluto, parlavo — e scrivevo — alla fine del 2013. Di seguito le due slide della presentazione alla base del ragionamento per comodità di lettura.
Da un modello incentrato sul prodotto, quello della “mitica” Ford T per ricostruirne l’emblema, si è sempre più passati ad un approccio customer centric, con al centro, appunto, il consumatore [aka le persone]. Fase che, elevandosi per cercare di avere una visuale migliore, probabilmente l’industria dell’informazione non ha colto essendo maggiormente focalizzata sui ricavi dalla pubblicità.
L’ulteriore evoluzione, il modello da perseguire attualmente è quello della simbiosi di cui Facebook è l’esempio più evidente. Symbiosis, per dirla in inglese, che si basa, come dice il termine, sull’idea che le imprese e le persone abbiano mutuamente bisogno gli uni degli altri per avere successo, soddisfazione.
Come scrivevano Don Tapscott e Antony D. Williams già nel 2007 in “Wikinomics” è la creazione di valore [aggiunto] per il cliente, per le persone, NON il controllo la risposta da dare nella digital economy.
Che molti editori, molte testate, a sette anni di distanza non l’abbiano ancora compreso è oltremodo preoccupante.
Riprendendo un vecchio adagio, modificandolo, adattandolo all’attualità: questa non è la stampa, è il Web, bellezza! Segnatevi queste due parole: membership e symbiosis, ne sentirete parlare parecchio d’ora in poi, se volete essere della partita, ovviamente.
Bonus track sull’argomento, lo speech di Michael Porter: “Creating Shared Value”
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