Io, oggi, vorrei dirvi che la serenità è una cosa da grandi.
La felicità no, quella è per i giovani e i bambini che li vedi giocare e ridere senza senso e correre e sbattere e rialzarsi e ridere ancora. La felicità è una cosa per i piccoli e per gli anziani, quando il cervello s’è smesso d’esistere e resta solo il cuore.
La serenità è di quel periodo di vita dopo le battaglie perse e le sconfitte, quel periodo di lotta continua tra passioni e deliri, fallimenti e vittorie, senza posa mai, neppure nella notte. Vien di natura disperare, non accettare compromessi, deridere, esigere, amare pazzamente, strillare, donarsi completamente e d’inquietudine si veste ogni attimo e respiro, senz’altra tregua che qualche attimo di disperata morte.
Non parlo di morte vera, quella che azzera il respiro, ma di morte d’anima, che blocca, frena e rinasce d’accesa scintilla ogni volta, alla ricerca della meta meravigliosa della felicità.
La serenità avviene proprio dopo le tempeste emotive del cuore.
Avviene se la si cerca, se si dispone se stessi al riposo e alla quiete. Non s’intenda stagnazione e rassegnazione che chi ha potere di credere sia così la serenità è solo ribelle incompiuto e inganno deluso dalla vita; non s’intenda forzatura e silenzio che chi intravede questo nella serenità è un adulto imperfetto.
Avviene e quando accade straordinariamente resta.
Non s’illuda chi è sereno d’aver messo da parte sofferenze, passioni e godimenti; ma sappia che tutto sarà rallentato come di giro di bicicletta e d’annusare ogni passo sarà capace e riconoscere suoi simili e diversi; ed allontanarsi e restare e capacità di discernimento sarà accresciuta e pace se lo vorrà e quiete se desiderata.
Notti insonni albergheranno tra serenità e paura, ma d’ogni mattina l’approdo sarà un porto quieto abitato dentro di sè.
Chiara