S. Michele, un dipinto di Barilli è la memoria viva del bombardamento che colpì Fidenza il 13 maggio 1944
A commissionarlo fu Luigina Corbellini che in quell’occasione perse la madre Irene e il fratello Angelo
Si
avvicinano i giorni di maggio, triste anniversario dei bombardamenti
aerei su Fidenza nel corso del secondo conflitto mondiale. Ricordi di
morte e distruzione ad opera degli alleati, che cercavano così di
tagliare le vie dei rifornimenti al nemico.
Tanti
sono i segni fatti dall’uomo, ancora scosso dalla tragedia della
guerra, per lasciare testimonianza e monito alle generazioni future.
Purtroppo spesso questi sono ignorati, o considerati inutili o non
capiti. Un dipinto nella Chiesa della Gran Madre di Dio eseguito dal
pittore parmigiano Latino Barilli nel 1956 ci ricorda uno di quei
bombardamenti.
Il
luogo della scena del quadro, ambientato realisticamente dietro la
Cattedrale di San Donnino - che sappiamo rimasta miracolosamente
intatta tra le macerie del Palazzo Vescovile cui era collegata a
sinistra e a quelle del Seminario situato vicino all’altro fianco -
non è scelto a caso.
Quando
portavo i miei alunni in visita alla Chiesa, pensavo che l’opera
fosse stata commissionata dal Comune e che il Duomo nello sfondo
fungesse da simbolo della Città. Non è così.
Mi
è capitato di ascoltare il racconto di quegli avvenimenti dalla voce
della signora Anna che conosceva i protagonisti: per me un piccolo
tassello di storia che vorrei condividere con i lettori del Risveglio
che non sanno.
Il
dipinto è stato voluto da Luigina Corbellini in memoria del fratello
Angelo e della madre Irene Gamberini morti nel primo bombardamento di
Fidenza del 2 maggio 1944 e collocato in quella Chiesa per legami di
amicizia col parroco.
Il
fatto successe verso le 13,30: Angelo era appena tornato da Parma,
contento per aver superato un esame all’Università. Aveva lasciato
gli amici per dare la bella notizia alla madre, la quale quando lo
scorse dalla porta di casa fece per andargli incontro nel cortile …
mentre un aereo passava sulle loro teste.
Angelo
guardò in alto e vide qualcosa cadere. “Guarda mamma cos’ha
lanciato!”: furono le sue ultime parole, raccolte dalla sorella.
Era una bomba, inaspettata: non era stato dato, infatti, alcun
allarme.
Casa Corbellini nella vecchia Via Cavour
in un pastello di Ettore Ponzi
Proprio sulla sua casa nella Via dietro al Duomo (non
nell’angolo, ma più verso est dove c’era un portone antico e
dove si è fermato il suo cuore senza poter abbracciare la mamma). I
vicini scampati accorsero urlando e la voce di “Una bomba sulla
casa dei Corbellini!” si sparse. Luigina che stava fumando vicino
alla finestra - in basso a destra della facciata - guardando fuori il
fratello e la madre, era ancora viva.
Si
era salvata sotto la trave che, caduta contro il muro, si era
appoggiata al lavandino per lavare i piatti addossato alla finestra,
facendo da ponte. Ora, incastrata, piangeva disperata e chiedeva
aiuto. Il signor Gardini l’allora fiduciario della famiglia, grande
proprietaria terriera, che abitava vicino, andò a chiamare in
bicicletta i mezzadri Veraldo Farolini - padre di Anna del racconto -
e Primo Massari (Blét) nei terreni di proprietà.
Questi
si sono precipitati, sempre in bicicletta, hanno divelto l’inferriata
dalla finestra - come si vede nel dipinto, a destra - e tirato fuori
la ragazza.
Luigina
aveva allora 19 anni, non era maggiorenne per quel tempo - per cui le
ha fatto da tutrice la zia materna Albertina - ma si è fatta
ritrarre bambina. Forse per quel dolore che ci pervade quando
perdiamo un genitore, una mancanza che ci fa sentire scoperti, non
più protetti, come più piccoli e indifesi.
È
inginocchiata vicino al corpo inerte della mamma, dilaniato come i
suoi vestiti tra le pietre e la polvere dei muri crollati, con le
braccine tese nell’atto di scuoterlo per richiamarlo alla vita e la
bocca aperta in un grido.
L’artista
è riuscito a rendere l’angoscia del momento. La Madonna, in primo
piano, rivolge al cielo le palme delle mani per offrire il Figlio
morto, ancora una volta.
Così
viene celebrato nella tela il dolore universale mantenuto
costantemente vivo dalla guerra, mentre dalla polvere e dal fumo che
esce dalla casa sventrata, eterei e leggeri angeli bianchi, dalle ali
appuntite, sembrano venire incontro alle anime scelte per il ritorno
al Padre.
L’annuale
commemorazione delle vittime di tutti i bombardamenti subiti da
Fidenza - per un totale di 162 - viene fatta proprio davanti al
quadro da lei voluto, anche se il 13 maggio, giorno della pioggia di
bombe più devastante.
La
pala inserita in una cornice a stucco preesistente - la Chiesa del
1700 dopo alterne vicende e usi diversi era stata riconsacrata come
parrocchiale di San Michele nel 1950 - si trova nella prima Cappella
destra, dove anche la sottile mensa dell’altare, a forma di ala di
aereo, diventa monito per la memoria.
Nella
parete destra una grande lapide riporta i nomi dei fidentini morti.
La
famiglia Corbellini era la più ricca di Fidenza, aveva diversi
poderi: uno dove oggi c’è il quartiere “La Bionda” di 52
biolche; uno di fronte alla Chiesa di Parola di 60 biolche e uno
sulla strada di Soragna di 75 biolche. Oltre all’abitazione dietro
al Duomo aveva stabili in Via Gramsci di fianco alla Chiesa di Santa
Maria.
Si
diceva che per il quadro Luigina avesse speso un sacco di soldi. Dove
ora c’è il cortile della Caritas, c’era il palazzo dei mezzadri
(casa natale di Anna) dove la madre di Luigina, vedova da molti anni,
aveva un appartamento ammobiliato e con tutti i servizi (un lusso a
quel tempo), per quando si recava in campagna.
Dal
1951 al ’53 Luigina fece rifare la casa e la stalla: questa era la
prima moderna e tecnologica della provincia di Parma e tutti la
venivano a vedere. Luigina era molto bella e ambiziosa, voleva fare
l’attrice e amava giocare, e questo, insieme agli sfortunati
incontri della sua vita, la portarono a perdere le sue ricchezze.
Si
adattò poi a fare lavori diversi, lavorava anche il pellame ed era
molto brava a ricamare, arte che aveva imparato a scuola dalle
Orsoline a Parma. È morta a 88 anni nel dicembre 2013.
Nella
cappella di famiglia nel cimitero urbano dov’è sepolta, campeggia
un dipinto del Cristo risorto, racchiuso dall’arco in alto, con la
scritta in latino “Requiem eternam …” nella cornice, e il marmo
delle lapidi in basso.
La
figura aureolata tiene con la sinistra un’asta con un vessillo
bianco, siglato da una sottile croce rossa, legato in tre punti e con
la destra benedice con le due dita unite, ricordando così la sua
natura umana e divina. Un lembo della sua veste candida che gli copre
i fianchi, lasciando scoperta la gamba destra che sale sulla lastra
del loculo centrale come fosse il bordo del sepolcro, è sospeso in
aria come sfondo al torso nudo.
È
firmato “Renzo Barilli 18 8 1956”. Latino e il figlio Renzo,
della grande famiglia di artisti, grazie a Luigina, nello stesso anno
hanno arricchito Fidenza con le loro opere.
Il
2 maggio era caduta un’altra bomba in Piazza Garibaldi,
nell’angolo, dove ora c’è un bar, ma non era scoppiata. E’
noto invece il dramma della numerosa famiglia Bianchi decimata sotto
il disastroso bombardamento del 13 maggio successivo, nel rifugio
scavato nel giardino dietro casa.
La
madre era sfollata a Santa Margherita con una figlia mentre tre figli
erano via militare: uno in Africa, uno in Germania e uno con
l’esercito italiano. Ne rimanevano a casa col padre altri sei, tre
maschi e tre femmine (quattro erano morti da tempo).
Sentito
l’allarme, questi si portarono nel rifugio, ma quando il rombo
degli aerei in arrivo si fece più forte, il più grande dei maschi,
Giancarlo, di 15 anni, disubbidendo al padre, scappò in superficie
per vederli.
Riuscì ad arrivare fino al cancello sulla strada di
Salsomaggiore e si salvò, mezzo sepolto dalla terra spostata dalla
bomba che aveva centrato proprio il rifugio, mentre la casa era
rimasta intatta. Aiutato poi dal signor Pezzani, da Padre Angelo e
Padre Severino, Cappuccini, scavò nel giardino alla ricerca dei
miseri resti dei suoi cari.
Per
anni fu lasciata crescere solo erba in quel luogo, poi fu piantata a
ricordo una magnolia stellata insieme a fiori.
Sempre
in quel 13 maggio Alessandro Bragalini proprietario dell’Albergo
Savoia - situato di fronte alla Stazione - era andato a Parma in
bicicletta.
Per i bombardamenti avevano poi bloccato la Via Emilia e
lui, col cuore in gola, per tornare a Fidenza dovette fare il giro
per Soragna. All’altezza di Castellina vide sulla strada brani di
rivestimento di larice delle camere del suo albergo … capì così,
prima di arrivare, di aver perso tutto.
Mirella Capretti
Articolo pubblicato da "il Risveglio" del 8 maggio 2015