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Memorie di un soldato tedesco in Normandia

Da Faustotazzi
Memorie di un soldato tedesco in Normandia
Al Cimitero di Guerra Americano che sovrasta Omaha Beach, in Normandia, i rami e le radici di un albero si sono spinti fino a una croce con un nome. Il soldato Billy J. Daniel, del 66° Reggimento, Seconda Divisione Armata Oklahoma che a Giugno aveva conquistato le postazioni difensive tedesche a Longues sulla costa, è morto in un imboscata nell'entroterra il 25 Agosto 1944. Adesso il soldato Daniel è diventato un filo d'erba, un insetto e un fungo; in una danza di molecole che seguono istintivamente il corso della vita, così come l'acqua segue naturalmente il solco del fiume. Morire in guerra sembra avere sempre un non so chè di eroico, colpa o merito dei films ma viene sempre da pensare a una pallottola che apre il petto nel pieno di un assalto e via, partiti sul colpo senza quasi accordgersene, senza il tempo di soffrire. Ma la verità è ben diversa, la maggior parte delle morti è ben più meschina, feriti, squarciati, amputati, umiliati, i combattenti muoiono tra sofferenze atroci nel corpo e nello spirito. E questa è la prima cosa da non dimenticare.
Mi chiamo Billy Daniel del 66° Reggimento Seconda Divisione Oklahoma e ora affido la mia anima a Dio. Io ho vissuto la battaglia, quella mattina. Quella battaglia che apparteneva solo a noi, a quella sottile linea di uniformi marroni che si trascinavano faticosamente dal mare alla spiaggia e dalla spiaggia alla collina, a quegli uomini che sapendo di aver ormai vinto decisero di andare al massacro nel mare umido e fin su quelle coste fredde lassù EuropaIo sono uno di quelli che ce la fece, sono passato attraverso le bombe, le mitragliatrici, le cannonate, i cavalli di frisia e i combattimenti corpo a corpo nelle casematte dei tedesci disperati che difendevano senza scopo l'ingresso nord della Francia per poi venire a morire pochi mesi dopo in questo piccolo ospedale, per una stupida imboscata, per una mina sotto la mia camionetta su un inutile minuscola strada secondaria dalle parti di Cambremer, nell'entroterra della Normandia.Probabilmente hai ragione tu, se la mettiamo dal tuo punto di vista allora è vero che sono stato fortunato ma io qui sto sotto sedativi da un’intera settimana e non ho molta voglia di discutere. Anche ora mentre parliamo, nello stesso istante in cui ti ascolto, dei dolori che nemmeno potresti immaginare  mi corrono laceranti per tutto il corpo. Provo solo stupore, quello di chi non avrebbe mai pensato di trovarsi a sopportare una simile pena. Poi diranno che ho cercato di battermi con tutte le ultime energie rimaste nel mio corpo, la verità è che a volte perdere è dolce e lasciarsi andare è meglio che lottare. Ormai non esiste più cura, non c'è nessuno stronzo di dottore, nessuna iniezione di nessuna fottutussima droga che non svanisca subito, sento dentro le ossa che si sbriciolano e per me è venuto il momento di ammettere che è finita. Una volta accettata l’ineluttabilità di questo fatto i pensieri ritornano a uscire limpidi dalla mente e le decisioni diventano facili e giuste. Qui sulla soglia della morte ho iniziato a sentirmi talmente candido e pulito che nemmeno riusciresti ad immaginare. Ormai l’ho lasciata indietro, la nostra vita; ci siamo detti e scritti tanto, abbiamo esplorato, cercato e imparato insieme. Lo so, probabilmente hai ragione tu: mettendocela tutta per una volta ancora ce la potrei fare ma in questa sera mi sento solo, solo voci dall’esterno che riesco ad ascoltare; regredito allo stato basico di un neonato sono nervoso per il dolore e non me la sento di pronunciare le parole che tutti si aspetterebbero da me. Il dolore scende nel fianco, vorrei potessimo tornare al cinema adesso, solo noi due a vederci un bel film ma non vedi come il mio corpo si ingolfa e tossisce solo se cerco di respirare? Quest’ultimo attimo, il pensarci ancora insieme mi sembra l’unico atto che abbia ancora un senso, l’unico istante in cui una sottile forma di piacere riesce ad avere il sopravvento sul dolore. Non preoccuparti, un giorno anche tu mi seguirai e ci ritroveremo, adesso però devo andare. Sono sempre stato bravo a sparire senza che nessuno se ne accorgesse, in passato questa abilità mi ha salvato la pelle quindi appena questi usciranno mi lascerò andare, prenderò la direzione più facile, la strada più veloce, porgerò le mie scuse, chiederò perdono per tutti gli errori commessi e per l’ultimo che sto per fare. Ci sono due mosche fuori dalla mia finestra in questa stanza d’ospedale: stanno già pensando a quello che rimarrà, in fondo per loro noi siamo tutti uguali. 
***
Camminando sulle spiaggie di Arromanches, saltellando tra le casematte e le buche inutili delle bombe a Pointe du Hoc, aggirandomi nelle batterie di artiglieria tra i pacifici campi di grano a Longues ho trovato un incisione fatta da un soldato tedesco nel cemento delle casematte. Portava la data del 26 Dicembre 1942, Santo Stefano, il giorno dopo Natale e non ho potuto fare a meno di pensare anche alla prospettiva del tedesco: cosa pensavano quei soldati che vedevano gli eserciti Alleati arrivare inevitabili come maree, che si preparavano a massacrarsi per una guerra ormai chiaramente persa? Questa è  la seconda cosa importante da ricordare.
Mi chiamo P. Muttz, sono stato di stanza alle batterie di Longues dalla loro costruzione, nel 1942, fino all'ultimo giorno: questo 7 Giugno del 1944 in cui sto morendo. Sono arrivato qui che avevo diciassette anni e una vita in tasca. Il cibo mi piaceva: freddo, umido e in quella meravigliosa forma di lattina. Mi piaceva anche quando scendevamo in paese. Il primo anno, nel giorno di Natale incisi il mio nome e una data nel cemento armato della postazione e dopo due anni ormai mi ero abituato. Mi piaceva qui e non ci ho mai pianificato nessuna via di fuga. Gli americani, quando sono arrivati, hanno provato a evitarci e potete giurarci che avrei preferito rimanere, avrei voluto sopravvivere ma le bombe ed i proiettili arrivarono così rapidamente che non mi è rimasto altro da fare che affidare le mie memorie a questi fogli sporchi di trerra francese e del mio sangue di tedesco, strappati dalle bombe degli aerei inglesi e dalle granate di fanteria americane. Ma che nessuno si senta in colpa se alla fine sono morto.Intorno a noi grandi mandrie di mucche marroni e cavalli bretoni arancioni pascolavano tranquilli nei i campi, sopra di noi gli uccelli tornavano la sera nei nidi tra i cespugli e ogni tanto passava a trovarci per un tozzo di pane qualche bastardino delle fattorie vicine. Per lungo tempo il mio compito non fu altro che aspettare, sdraiato tra l'erba, che il sole si ritirasse per far posto alla luna.Intanto sognavo, sognavo di andare per il mondo per conto mio, di dormire per terra ogni notte in un posto diverso, di lavorare solo per un pasto caldo e di trovare prima o poi qualcosa per cui valesse la pena fermarsi e qualcuno da proteggere.E in un certo senso qui valeva la pena fermarsi, qui proteggevo qualcuno. Gli ordini che strillavo erano certo più grandi della mia voglia di sparare e, se avessi potuto scegliere, azzuffarmi rotolandomi nell'erba sarebbe stata senza dubbio la mia battaglia più grande. Sai, a volte si dice che esistono persone giuste nel posto sbagliato: beh, per quello che mi riguarda alla fine non è che questo abbia fatto tanta differenza.Ora sono qui che mi allento a fatica il colletto della divisa come fosse il nodo di una cravatta fatta di sangue. Mi preparo ad incontrare il grande Furher dei Cieli: gli dirò che sono stato bene da queste parti e che il mio spirito è onorato di aver avuto questa grazia. Cosi, tu che un giorno leggerai queste mie memorie, che le ascolterai in un film o sotto forma di canzone (perchè di sicuro qualcuno sulla mia storia scriverà una canzone) non farti troppi problemi: la mia pellaccia sta bene e queste memorie sono solo parole, che mi rappresentano molto parzialmente, come un orologio è solo uno degli aspetti del tempo che scorre.Mi dispiace non poter essere lì, di fianco a te che mi leggi ora, mi rincrece ma capisci che non posso. Per favore di a chi mi ha voluto bene che questa, tra i campi di grano in Francia, è stata la migliore vita che ho potuto avere. E che se dovessi trovare quel posto che era il mio preferito, là dove lungo la scogliera da sotto i cespugli si vede verso ovest il mare, quando ci avete attaccato ci ho lasciato la mia sacca: ora è tua.
***
Dal sacrificio estremo di se, passando per il fascino della violenza, l'esaltazione del massacro, all'uccidere per non essere ucciso fino all'odio per ogni tipo di guerra. Queste devono essere le cento vite e cento morti possibili per un soldato. Questo pezzo è per non dimenticare che nessun esercito, nessun popolo,  uomo, è uscito indenne dalla Guerra Mondiale. Anche noi siamo stati prigionieri di guerra passati per le armi, plotoni deliberatamente sacrificati a strategie superiori, civili assassinati in massa senza possibilità di difesa. Tutti, anche se ancora non c'eravamo, siamo in un certo senso morti tra il 1940 e il 1945.
__________________________________________Nota. Questo racconto contiene diverse inesattezze storiche: le date non coincidono, non so quando vennero costruite le batterie di Longues che comunque non furono conquistate dagli Americani ma dagli Ingliesi del Reggimento Devonshire, il soldato Daniels non è morto in un imboscata nell'entroterra - o quantomeno so come sia morto, se lo fosse stato sarebbe solo una coincidenza - e il soldato Mutt non ho la minima idea di che fine abbia fatto. Però tutto questo non cambia una virgola del senso di quello che ho scritto. Questo scritto è dedicato a mio padre che quella guerra da qualche altra parte l'ha fatta. Un giorno forse lo racconterò.

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