In un mese
Questa sera ho ritrovato un diario (non proprio) perso: il mio mese a Berlino, il mio stato d'animo, da febbraio di quest'anno fino a qualche mese fa, analizzato nella più nuda intimità.
Domani lascio Milano per un periodo discretamente lungo: fino all'11 dicembre.
Propongo qui alcune cose scritte da me in altri momenti di quest'anno, che questa notte risento a me vicine per intensità e lucidità. Certo, non sono poetiche descrizioni di Milano, ma credo che anch'esse contribuiscano a formare quella persona che poi applica il proprio sguardo alla città.
19/9
Tu un giorno mi hai scritto "sei capace di amare".
Io ridevo perchè credevo che fosse normale, che tutti sapessero amare.
Non capivo ciò che già sapevi. Non tutti sanno amare davvero, intensamente e incondizionatamente.
Io ho paura di non esserci riuscita.
9/8
Sale un attimo di sopra e se ne torna giù con una spilletta.
Un fermaglio tra i capelli, che le raccoglie appena la prima ciocca e ne libera il viso. Un gesto minuto, quasi insignificante, ma aggraziato. Quella spilletta rosa, un piccolo fiore, la faceva sembrare di nuovo bambina, come quando passava l'estate sull'amaca in giardino, spinta dal vento e riparata dalle ombre dei pini marittimi.
I piedi nudi, la pelle scura e un qualche abitino da nulla: una polinesiana dell'Adriatico mare.
23/6
Tu ci scherzi, ma la malinconia che mi riempie la gola e caccia il fiato è la stessa che amavi tu della nostra terra.
Tu ami il mare d'inverno, come me. La spiaggia incolta, l'acqua rude e il grigio dei blu (cielo-mare).
Il presepe sul pontile di legno, Miramare centro: il consumismo della balneazione e la sacralità dell'avvento.
E poi sto qui e scopro che non ci vivo solo io nella "mia Rimini": c'eri anche tu, tu che la vedi proprio così. Perchè in tutta Fiabilandia l'emozione più grande te la dava il dragone ingordo, con le sue spezie ed essenze. Ma sempre da solo, quando piove, quando nessun altro va a Fiabilandia. Quando solo un bambino l'apprezza di più se scossa dall'incombere della goccia.
Ti devi essere allontanato dal mare per poterlo aver ricompreso in te stesso con tanta foga.
Hegel aveva ragione: solo allontanandoci da qualcosa che nasce come nostra, per poi ricomprenderla in noi, possiamo effettivamente renderla propria, renderla nostra proprietà.
D'estate il mare ti divora, ma è l'inverno il problema. D'inverno ti schianta perchè si incolla ai tuoi arti e lascia che diventino prolungamenti inconsci del tuo angosciato essere.
Che male lo spazio per sè quando il sé è bisognoso di sale bagnato.
Gli ombrelloni a lisca di pesce, morti di freddo, conservati sotto sale (di neve).
("Monologo con un artista", nato spontaneamente e sinceramente dalla visita alla personale dedicata al defunto fotografo riminese Marco Pesaresi, mostra a cura dello Spazio Forma di Milano).