Chi ha seguito un po’ il blog sa che non ho amato particolarmente Confessions, ma ad un regista particolare come Nakashima si dà sempre una seconda opportunità. E’ con occhio critico quindi che mi sono accostato alla visione del precedente Memories of Matsuko, ma penso di poter parlare con cognizione di causa quando dico che nonostante questo sia il suo film migliore e non manchino le trovate geniali, sono presenti di nuovo molti dei difetti già riscontrati nel suo ultimo film.
Memories of Matsuko è un esperimento per molti versi originale e coinvolgente, Nakashima ha infatti creato un melodrammone di più di due ore girandolo come un film solare e coloratissimo, mescolando stili e citazioni, unendo l’estetica da videoclip a quella del cinema classico e infarcendolo di numeri cantati come in un musical degli anni cinquanta. Alla fine di quello che si suol dire un rollercoaster di emozioni si arriva per nulla provati dalla visione e anche un po’ toccati, anche se mi sembrano esagerati alcuni commenti letti in giro che parlano di un film che farebbe commuovere anche i sassi. Nakashima si conferma infatti un abilissimo manipolatore di emozioni, anche se fortunatamente meno ricattatorio che in Confessions.
Come sempre con Nakashima l’impatto visivo è notevolissimo e il regista usa ogni scena per far risaltare il suo virtuosismo e la sua estetica estrema. Il tripudio di colori sgargianti è frastornante, uccellini digitali alla Biancaneve accompagnano la protagonista nei – rari – momenti di felicità e migliaia di fiori fanno da corollario a moltissime scene. Nakashima, che non ama muovere la telecamera, riesce comunque a costruire un film senza cadute di ritmo con l’uso di un montaggio a tratti sincopato, a tratti frenetico, proprio dell’estetica del videoclip, e si avvale in numerose situazioni della grafica digitale per creare un mondo estremamente vitale, riuscendo così a produrre uno scarto notevole e originale tra la vicenda narrata e la modalità di narrazione. La sua indiscutibile tecnica e bravura si palesa in più occasioni, come quando riesce a riassumere mirabilmente interi episodi di una sceneggiatura densissima, stracolma di avvenimenti e personaggi, in numeri musicali di cinque minuti, come avviene con l’esperienza in prigione o con il secondo amante di Matsuko. Le musiche, curate dall’italianissimo Roberto Cavallo (quest’anno ospite al FEFF, essendo collaboratore abituale di artisti dell’estremo oriente), sono calzanti e coinvolgenti, mentre le elaborate coreografie non tradiscono la cura maniacale per i dettagli che regna anche in tutto il resto del film.
Nei tanti episodi della vita di Matsuko entrano in gioco una miriade di personaggi che a volte esauriscono la loro utilità narrativa di lì a poco, a volte ritornano anche nel “presente” della pellicola. Questi personaggi raramente subiscono un’evoluzione (uno dei pochi casi è quello d Ryu), né riescono a raggiungere una certa complessità caratteriale. Ne vengono piuttosto esaltati alcuni tratti, declinati in salsa melodrammatica appunto, che fanno risaltare le doti da caratteristi dei vari attori. Nakashima, come confermano loro stessi, nonostante i metodi spesso bruschi è un buon direttore di attori e si capisce che riesce quasi sempre a spremere il meglio da loro.
Eita e una conturbante Kurosawa Asuka
Tra la pletora di volti più o meno noti del panorama attoriale giapponese figurano grandi veterani (Emoto Akira, Kagawa Teruyuki) e giovani emergenti (Iseya Yusuke, Ichikawa Mikako, YosiYosi Arakawa), lo stesso protagonista del “quadro”, Eita, è convincente, ma colei che si colloca subito dietro l’inarrivabile, per complessità del personaggio e per presenza in scena, Nakatami Miki è la splendida Kurosawa Asuka (protagonista nell’indimenticabile A Snake of June e vista recentemente anche in Cold Fish) che riesce a rubare la scena a tutti quando è in campo col suo personaggio di diva del porno. Sensuale e tostissima è la moderna evoluzione di quella Kaji Meiko che spopolava nei film d’azione degli anni settanta, omaggiata tra l’altro nelle scene carcerarie.
Nakashima è un cantore del pop estremo post-moderno, paragonabile per alcuni versi a Sono Shion, almeno nell’uso di un’estetica dirompente e senza compromessi E’ una strana coincidenza che entrambi abbiano fatto trapelare nei loro film una certa fascinazione per la cristianità, conosciuta solo nelle sue componenti più superficiali in Giappone, ma interpretata in maniera opposta. Per Nakashima è un’ancora di salvezza, un modo di pensare “altro”, attraverso il quale capire il vero significato dell’amore per il prossimo. Per Sono, al contrario, è fonte di superstizioni e fanatismo che invece di purificare corrompe. Ma al di là di questo, quello che sembra differenziarli maggiormente è l’IDEA. Mentre Sono usa evirazioni e smembramenti per dirci qualcosa su di noi e sul mondo contemporaneo, Nakashima cela dietro ad un’estetica spesso pretestuosa e ottenebrante un sostanziale vuoto. I suoi film infatti sono pieni di idee e trovate, ma poggiano sul nulla; non è un caso che abbia scelto per Memories of Matsuko il melodramma, pur rivisitato alla sua maniera, poiché è il genere che gli permette di colpire maggiormente lo spettatore dal punto di vista emotivo (anche se con Confessions farà un ulteriore passo avanti) a costo praticamente nullo, essendo il film una sequenza di eventi tragici che accadono ad una protagonista stoica e dal cuore puro, con la quale è impossibile non empatizzare.
EDA