Memory of the Camps, un documentario sugli orrori nazisti alla cui realizzazione, sulla base di filmati originali, collaborò Alfred Hitchcock, restaurato digitalmente, arricchito di materiale inedito dal London’s Imperial War Museum, sarà visibile all’interno di alcuni festival per essere poi trasmesso in televisione nel 2015, quando ricorrerà il 70mo anniversario della Liberazione dell’Europa dal nazismo e della fine della II Guerra Mondiale. Lo riporta il sito del quotidiano britannico The Indipendent.
Hitchcock lavorò, dietro incarico del collega ed amico Sidney Lewis Bernstein, sulle immagini riprese dai soldati britannici e russi nel ’45, una volta aperti i cancelli di Bergen-Belsen, con il compito di delineare una sceneggiatura ed ottimizzare il materiale in postproduzione e rimase profondamente scosso dalla visione, tanto da abbandonare i Pinewood Studios per una settimana.
In effetti il documentario (è possibile visionare la versione incompleta o alcuni estratti su You Tube) contiene immagini piuttosto crude, alternate ad altre inerenti la fase della ricostruzione.
Alfred Hitchcock
L’intenzione degli Alleati era di organizzare una proiezione presso la popolazione tedesca, così da evidenziarne la corresponsabilità negli orrori perpetrati durante il secondo conflitto, ma poi prevalse una più comoda ragion di stato, in vista di una possibile e redditizia collaborazione con la Germania post-nazista.Cinque dei sei rulli vennero depositati all’interno del London’s Imperial War Museum e fu un ricercatore americano a scoprirne nel 1980 tale versione incompleta, che venne presentata al Festival di Berlino del 1984 e trasmessa l’anno successivo dal canale televisivo britannico PBS Frontline col titolo Memory of Camps, il quale probabilmente sarà mutato nella versione interamente restaurata, comprensiva del materiale presente nella sesta bobina e con una nuova voce narrante in luogo dell’originale offerta dall’attore Trevor Howard, mantenendo il testo scritto all’epoca dal futuro ministro del Lavoro del Governo inglese Richard Crossman, in collaborazione con il giornalista australiano Colin Wills.