L’articolo di Alessandro Gnocchi pubblicato da “Il Giornale” mercoledì scorso a consuntivo di cinque giorni di Salone del Libro era eloquente già dal titolo: “Cari scrittori, siete diventati irrilevanti”.
Gnocchi riassumeva i numeri dei presenti alle conferenze di scrittori, se non gradi, sicuramente famosi, e le cifre parlano chiarissimo: «Federico Moccia: 32 persone. Javier Cercas, premio Salone del Libro: numerose file vuote. Antonio Scurati con Alessandro Bertante e Tommaso Pincio: semideserto. Paolo Nori: deserto. William Vollmann: deserto.»
Su “Il Secolo XIX” di ieri, invece, Maurizio Maggiani, lodando la grandezza di Victor Hugo e l’assoluta contemporaneità dei suoi “Miserabili”, scritti un secolo e mezzo fa ma ancora perfetti per fotografare il mondo attuale, concludeva con un retrogusto di amarezza: «Forse questa nostra epoca non ha diritto al suo grande romanzo, non ha meritato né Dante né Hugo.»
Sono considerazioni preziosissime di cui far tesoro, specie per l’enorme massa di narratori editi e inediti ancora vittime dell’erronea idea che fare il romanziere equivalga ad ottenere successo, fama, autorevolezza e magari anche potere mediatico di influenzare le coscienze.
Io per primo, che ho investito metà della mia vita nel costruirmi una specie di profilo da “persona di intelletto” (profile che, ovviamente, può anche essere assai diverso d quello di “persona di cultura”), più invecchio e più mi convinco di aver sbagliato tutto.
Ho cominciato a leggere libri a sei anni e, poiché mi divertivo un mondo a buttare il naso nelle storie altrui provando nel contempo a crearne delle mie, mi sono costruito l’illusoria convinzione che assecondare quella mia natura sedentaria e riflessiva mi avrebbe portato a raggiungere una certa forma di serenità interiore e, come naturale conseguenza, alla costruirmi un’identità sociale forte.
Ora che ho trentasette anni suonati, come un Von Aschenbach delle periferie, osservo con invidia la prestanza fisica degli avvenenti avventori della palestra che frequento nel mio tragicomico tentativo di essere più giovane domani. E mi sento sento inquieto e insoddisfatto come non mai.
Il cocente desiderio che avverto nascermi dentro è quello di avere un’occasione per tornare indietro, a quei miei sei anni, per poter cambiare strategia, e anziché puntare tutto su pensieri e parole, darmi alla ginnastica, alle corse all’aria aperta, all’agonismo sportivo e alla cura del fisico anziché a quella della mente.
Insomma.. se mi fosse concesso di ripensare la mia esistenza, vorrei provare a vedere che succede prendendo l’altra strada e, anziché aspirare a vincere il Man Booker Prize ritrovandomi poi il fisico di Philip Roth, sfoggiare tutto la mia geniale creatività togliendomi la maglietta per mostrare petto e addome sulla copertina di Men’s Health.
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