Per raccontare un libro di Bret Easton Ellis occorre come prima cosa allontanarsene e parlare della California e del cosiddetto sogno californiano.
Per decenni si è parlato di questo sogno accostando un’idea ad un territorio.
Mare, sole, caldo, bella gente, divertimento, lusso, eccetera eccetera.
È quella California di Baywatch e di Hollywood, con tutto ciò che rappresentano, che ancora oggi per molti americani costituisce un sogno.
L’idea che possa trasformarsi in una chimera, prende piede ultimamente grazie ad alcuni elementi che tentano di fare vedere anche altri aspetti dello stesso territorio.
La serie televisiva True Detective infatti, piaccia o meno non ha importanza, racconta della vita dei diseredati di quel territorio, dei barboni e dei disperati, scoperchiando un mondo al quale nessuno aveva dato voce.
A metà tra questi diseredati di True Detective e la classe elevata di Baywatch, c’è un mondo sterminato di persone più o meno normali che vivono la vita quotidiana di Los Angeles in modo totalmente differente da essi.
Pochi si sono presi la briga di parlarne ed è proprio qui che entra in gioco la letteratura che assolve a tale compito, o perlomeno cerca di farlo.
Per un normale abitante di Los Angeles la realtà del quotidiano, quel day by day raccontato da David Foster Wallace in Questa è l’acqua, risulta essere molto differente dall’idea classica del sogno californiano.
Come dice William T.Volmann, per il cittadino normale diversi aspetti del sogno rappresentano dei limiti: vera è la presenza del sole e del caldo, ma vista la cosa da una prospettiva differente, siccome non piove quasi mai, ecco che non c’è acqua e dunque interi pezzi di economia locale dipendono totalmente da tubature ed altri impianti artificiali.
Gli spazi aperti poi, nel quotidiano significano ore ed ore di traffico su strade immense.
Le grandi opportunità, nel fare acquisti normali che escludono il lusso di Rodeo Drive, si traducono in estenuanti drive-through per qualsiasi cosa.
Da noi esiste quasi solo il McDrive, mentre lì si va dal fast-food alla farmacia, dal negozio di mobili alle banca, per arrivare a qualsiasi tipo di prodotto o servizio.
Ecco dunque che il tipico abitante di Los Angeles si trova a passare la maggior parte del proprio tempo libero sulle strade.
Ed ecco apparire una visione della California molto diversa da quella sempre presentata e raccontata fino alla soglia degli anni ottanta.
Pressappoco nello stesso momento anche la letteratura, reduce da un lungo periodo di trasformazione che ha visto prima la nascita del modernismo e poi del post-modernismo, si trovava ad un punto di svolta.
Siamo come detto negli anni ottanta e una generazione di nuovi autori affronta la situazione in modi molto differenti tra loro.
David Foster Wallace si butta a capofitto nell’analizzare con ironia e devastazione il disagio di quegli anni fino agli estremi dettagli e conseguenze.
Jonathan Franzen effettua una specie di ritorno al romanzo più tradizionale dove sentimenti e famiglia sono i protagonisti principali e rappresentano il mezzo attraverso il quale esprimere il proprio pensiero.
Bret Easton Ellis dal canto suo scopre la scrittura minimalista o per meglio dire la scrittura di sottrazione.
I lettori di Ellis si dividono in due categorie: quelli che colgono gli aspetti della sua scrittura e quelli che non li colgono, indipendentemente dal fatto che piaccia o meno.
Gli appartenenti alla seconda categoria, dopo la lettura di Meno di zero, raccontano di un autore che vuole portare l’attenzione verso il mondo tipico degli anni ottanta, dove una generazione di giovani ricchissimi e apparentemente senza pensieri, passa il proprio tempo tra sesso e lusso, senza trarre giovamento completo né dall’uno né dall’altro.
La vita di questi giovani si sposta di festa in festa sempre su auto ultimo modello, con droghe a volontà e senza riguardo né rispetto verso nessuno.
L’apparenza, il vestire, l’essere presente, costituiscono un modo di vivere che in fondo non riesce a soddisfare in modo sufficiente nessuno dei protagonisti.
Si arriva a visioni di video snuff, eppure la sostanza non cambia: ricconi talmente pieni di denaro e di possibilità che alla fine vivono tutto con una noia mortale.
Questo è uno dei modi di intendere la lettura di Ellis.
Chi invece riesce a cogliere gli aspetti più nascosti della sua scrittura, esce dalla lettura di Meno di zero con un’altra idea, molto più complessa e soddisfacente.
Come detto in precedenza, quella di Bret Easton Ellis è una scrittura per sottrazione, vale a dire che le cose fondamentali sono da ricercare in quello che non è stato scritto.
Sono le sensazioni non esplicitate, quel non detto che però è più presente del banale magari scritto.
Ad esempio, la frase Salgo in camera mia…e poi vado nello spogliatoio a cercare la boccetta di Valium che tengo nascosta sotto certi golf di cachemire contiene molto, ma molto di più di quanto si è appena letto.
Normalmente le parole Valium e cachemire non dovrebbero stare nella stessa frase; se le immaginiamo fuori dal libro, richiamano alla mente situazioni difficilmente mescolabili.
Il cachemire, l’agiatezza e il caldo confortevole, mentre il Valium, problemi e difficoltà.
Mettendole insieme danno un totale che è ben più della somma dei due termini.
Non c’è solo la sensazione di noia e di insoddisfazione a cui si faceva riferimento in base ad una lettura che non coglie appieno i vari aspetti, ma c’è molto di più.
Se poi si presta attenzione al fatto che il Valium è in realtà nascosto sotto i golf di cachemire, ecco che si passa dalla pura insoddisfazione del protagonista, all’indicazione di problemi molto più seri.
Problemi che si intensificano se aggiungiamo una considerazione riguardante l’incipitdel libro:
La gente ha paura di buttarsi nel traffico delle autostrade a Los Angeles.
È la prima frase che sento dire al mio ritorno in città.
Questa frase non dovrebbe infastidirmi, ma non riesco a togliermela dalla testa.
Inquietante.
Nient’altro sembra avere importanza.
…
Tutto diventa irrilevante in confronto a quell’unica frase.
…
In definitiva di sicuro c’è solo che ho un mese di vacanza, che ho appena rivisto qualcuno che non vedevo da quattro mesi e che la gente ha paura di buttarsi.
La frase sembra avere più importanza anche del fatto che una loro conoscenza possa essere anoressica.
E allora la chiave sta tutta in queste prime righe: Meno di zero racconta di gente che ha paura di buttarsi.
Le strade di Los Angeles sono il gancio con cui catturare il lettore; e il lettore è prima di tutto l’abitante di Los Angeles, che conosce come sono le strade, tutte le strade.
Infatti Ellis le nomina sempre, così come nomina i locali, le marche, i film e tutto il resto.
Utilizza una tecnica apparentemente semplice fatta di frasi brevi e concise, senza fronzoli e senza giri di parole.
Spesso la vicenda si svolge sulle strade e ciò che viene descritto pare un semplice e continuo elenco di movimenti: il tale sale in auto, accende una sigaretta, accende la radio, si immette nella tal strada, vede una certa persona, attraversa un incrocio, arriva davanti ad un locale, nota le auto nel parcheggio, eccetera eccetera.
Non c’è introspezione e non c’è colpo di scena.
Non c’è scambio tra te e i personaggi, se tu lettore non lo desideri.
Ma c’è la società degli anni ottanta.
Dopo quella frase iniziale arriva un libro stracolmo di gente che si butta.
Quella frase rappresenta una sorta di minaccia che non viene mai specificata proprio per le caratteristiche della scrittura, ma che però è sempre presente.
Le uniche possibilità di salvezza sono rappresentate dal cartellone pubblicitario Sparire Qui e dai ricordi di Palm Springs, non a caso scritti in corsivo, dove la presenza del nonno poteva forse simboleggiare una qualche speranza per il futuro.
Un’ultimo passaggio per rappresentare il tutto, può essere lo schema tipico spesso presente in questo, ma anche negli altri libri di Bret Easton Ellis, dove il protagonista sostanzialmente dice:
Tutte le volte che capita di….tento di fare…e se poi non ci riesco allora…e di solito non ci riesco.
Situazione, intenzione, dubbio e rassegnazione o sconfitta.
Si può aggiungere pure che Ellis racconta fatti estremamente pesanti senza condannare i propri personaggi e si può notare come nei suoi scritti non appaia mai la compassione.
Però il lettore queste assenze le nota e inconsciamente le fa sue schierandosi da una parte o dall’altra o comunque sia creandosi una propria opinione.
Dunque l’autore raggiunge il suo scopo ugualmente, anzi forse in questo modo al lettore resta un ricordo più marcato.
Ora però direi che questa recensione è andata fin troppo per le lunghe e sta togliendo spazio a nuove letture, magari anche dello stesso Ellis, per cui la concludo qui non senza aver riportato il solito tempo di lettura, per me così importante.
Tempo di lettura: 4h 29m