Meno male che Barbara c’è

Creato il 04 maggio 2011 da Gianclint

Continuità. Nel nome del padre. L’approdo nel Cda del Milan di Barbara Berlusconi è sulla carta il migliore acquisto arrivato in via Turati negli ultimi venticinque anni. Già, perché che piaccia o no i successi di un quarto di secolo del Milan sono indissolubilmente legati al primo grande, grandissimo colpo, datato 1986, che risponde al nome di Silvio Berlusconi e alla svolta che il presidente impresse quando gli venne in mente la pazza idea di rilevare un Milan finanziariamente alla canna del gas e quasi in liquidazione, di saldarne i debiti e di rilanciarlo.

Chi c’era racconta della prima volta di Silvio a Milanello, in quel tempio “stuprato”, dove per racimolare qualche lira la società di allora lo affittava per feste e matrimoni. Con la sfrontatezza e il coraggio che lo ha sempre contraddistinto il nuovo presidente disse, di fronte a tutto lo staff schierato, che l’obiettivo non era quello di tornare a vincere, un giorno, quello scudetto che mancava dal 1979. «L’obiettivo – disse Berlusconi – deve essere quello di diventare il club più titolato al mondo». Chi c’era racconta degli sguardi imbarazzati dei presenti, che si chiedevano se quell’imprenditore che aveva rivoluzionato il mondo della televisione privata italiana e che aveva deciso di entrare nel calcio ci fosse o ci facesse. La risposta l’ha data la storia.

Ma tutte le favole che si rispettino hanno un inizio e una fine. Una fine paventata da tutti i tifosi, già quando a quel presidente tanto vincente venne in mente un’altra idea balzana, quella di entrare in politica, e di farlo dalla porta principale. Da quel momento il rapporto di Berlusconi con il Milan è necessariamente mutato, nonostante le vittorie e l’impegno economico.
Poi in un giorno di giugno, correva l’anno 2009, il timore che la storia d’amore tra Berlusconi e il Milan fosse giunta al capolinea si concretizzò tutto d’un tratto, trasformandosi in un macigno di dolore e smarrimento. Mai il presidente nella sua storia rossonera aveva consentito di cedere un campione nel pieno della sua carriera. Mai il presidente che amava vantarsi del fatto che «il Milan i campioni li acquista e non li cede» avrebbe venduto il suo giocatore più rappresentativo, quel Kakà che con la sua classe e i suoi modi gentili aveva fatto innamorare il popolo rossonero. E invece lo fece, senza nemmeno dare troppe spiegazioni. La storia d’amore pareva finita, qualcosa sembrava essersi infranto per sempre. E il futuro, in quella maledetta estate, era un rebus.

Anche perché, a differenza degli Agnelli e dei Moratti, dalle parti di Arcore pareva non esserci una famiglia che condividesse – con la stessa determinazione e volontà – la passione di Silvio per i colori rossoneri. Certo, c’erano i figli maggiori del presidente che avrebbero potuto ereditare lo scettro paterno. Ma Pier Silvio e Marina parevano non solo poco interessati alle sorti del gioiello di famiglia calcistico, ma piuttosto preoccupati per il costo che la società rappresentava per le casse del gruppo di riferimento.
La storia però non era ai titoli di coda. E la sorpresa, dopo un annus horribilis, era dietro l’angolo. E forse non è del tutto casuale che il ritorno autorevole della società di via Turati nell’agone del mercato dei calciatori di primissima fascia (in particolare con l’acquisizione di Zlatan Ibrahimovic e di Robinho) sia coinciso con l’affacciarsi, in società, della giovane e bionda figura di Barbara Berlusconi.
La cui presenza in tribuna a San Siro, all’inizio, era addirittura vista con diffidenza, quasi come fosse stata imposta da papà, per ragioni di immagine e di protocollo. Solo fumo, dicevano i più maliziosi. E invece no. Barbara si è inserita nella famiglia Milan in punta di piedi, senza far troppo pesare il pesante cognome che porta. Ha piazzato il suo ufficio a fianco di quello di Adriano Galliani. Per imparare. E assorbire dall’esperto dirigente tutte quelle qualità che servono per gestire un club come quello rossonero. Perché sa bene, Barbara, che non si nasce “imparati”, nemmeno se si ha la fortuna di chiamarsi Berlusconi.

Barbara ha lavorato tanto, senza dare troppo nell’occhio mediatico. Ha voluto conoscere e vivere l’ambiente, la società, i meccanismi, i giocatori. E con uno di questi – raccontano i rotocalchi – è nato anche un rapporto che va al di là della sfera sportiva. Non ci è dato sapere se l’intima amicizia tra Barbara e Alexandre Pato sia un gioco o un vero fuoco. Quel che è certo però è che quel ragazzo tanto talentuoso quanto chiaccherato, che dopo un inizio grandioso era finito in un vortice di problemi personali e fisici tanto da far parlare di involuzione, è rinato. Cresciuto. Personalmente e sportivamente. Tanto da prediligere un’inaugurazione di una mostra d’arte o serata alla scala a un festino alla corte del Ronaldinho di turno. È rinato, Pato e, per amore e per scelta, rinconfermato. Perché non nascondiamoci dietro a un dito: che alla società una mezza idea di cederlo fosse venuta non è un segreto. Ora tutto è cambiato. Anche, azzardiamo a dire noi, grazie a Barbara.
E non è fantasioso nemmeno sostenere che la presenza di una Berlusconi nel Cda del Milan c’entri più di qualcosa nella campagna acquisti, fino ad oggi impeccabile, che Adriano Galliani sta impostando, e quasi chiudendo, a più di due mesi dall’inizio ufficiale delle trattative. Mai come quest’anno – negli ultimi tempi – si era visto un Milan così attivo nel tessere, imbastore e rifinire trattative, nel portare avanti sinergie e alleanze, nel portare a casa giocatori, di valore assoluto, pur nel rispetto di un bilancio che quest’anno fa segnare, ironia della sorte, pressapoco il medesimo passivo dell’esercizio 2009.
Allora si decise di far cassa sacrificando il “bambino d’oro” sull’altare dei conti. Oggi si pensa a rafforzare la squadra, seppur con giudizio. Tenendosi nel taschino anche quel jolly, quell’assegno in bianco per l’acquisto di un fuoriclasse, che se si presentasse l’occasione il presidente autorizzerebbe Galliani a firmare in nome e per conto di. Magari, dopo aver ricevuto anche uno squillo dalla figlia.
La favola sembra destinata a non finire, quindi.

E la speranza di tutti i tifosi è che Barbara possa continuare a crescere e, al netto delle vicende che riguardano la sua vita privata, proseguire nel suo percorso formativo nella scuola di via Turati. Per ora, dopo tanti anni passati tra dubbi, ubbie e paure per il futuro. Una cosa è però certa. Parafrasando uno slogan paterno, chi vuol bene al Milan per ora lo può dire forte e chiaro: menomale che Barbara c’è.

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