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Mental Coaching Fobia: come rompere il ghiaccio e superare la diffidenza dei clienti

Da Certifiedmentalcoachitalia

Come Mental Coach spesso ci troviamo ad avere a che fare con persone o team che per svariati motivi manifestano palesemente la loro diffidenza verso di noi e la nostra professione.
Ogni mental coach prima o poi si trova a dover affrontare quella che io affettuosamente chiamo “Mental Coaching Fobia” (MCF).
Come possiamo comportarci in questi casi?
Come si affronta un percorso con un soggetto o una team che è refrattario al nostro intervento?

Negli ultimi anni la nostra professione ha preso sempre più piede anche in questo Paese e vari studi confermano che il mental coaching oggi è a tutti gli effetti un ramo in fortissima espansione. Sono sempre di più i soggetti che decidono di avvalersi delle nostre consulenze; spesso però ci troviamo ad avere a che fare anche con persone o team che per svariati motivi manifestano palesemente la loro diffidenza verso di noi e la nostra professione, ed ecco che ogni mental coach prima o poi si trova a dover affrontare quella che io affettuosamente chiamo “Mental Coaching Fobia” (MCF). Le cause scatenanti di questo tipo di pregiudizio sono principalmente due:

La prima e più frequente è che per svariati motivi la nostra consulenza può essere frutto di una imposizione. In ambito business nel 90% dei casi è chi sta al vertice dell’azienda a decidere di avvalersi della nostra collaborazione dandone disposizione allo staff che non affronta quindi il percorso per scelta ma per imposizione, lo stesso avviene in ambito sport dove spesso sono le società sportive o gli allenatori a richiedere la nostra presenza. Seppure più sporadicamente anche in ambito life può capitare che in determinate circostanze ci si trovi ad avere a che fare con un coachee che non è di fronte a noi per sua scelta.

La seconda è che la professione del mental coach è ancora troppo spesso associata al concetto di malattia mentale o psichica.

Spesso capita che queste due cause si presentino simultaneamente complicando notevolmente il nostro lavoro.

fobia

Come possiamo comportarci in questi casi?
Come si affronta un percorso con un soggetto o una team che è refrattario al nostro intervento?

Analizziamo i tre ambiti e le possibili soluzioni.

Business

E’ senza dubbio il campo dove questa situazione si presenta più di frequente.
Ogni volta che siamo interpellati da multinazionali o aziende che ci chiedono di operare direttamente sui vari settori di impresa o di occuparci della formazione della classe dirigenziale in modo che possa confrontarsi poi con il proprio staff, ci troviamo di fronte soggetti “obbligati” anziché “volontari”.
Se è vero che questo è l’ambito più soggetto a questa situazione è altresì vero che è quello in cui è più semplice superare questa difficoltà.
Sia che si tratti di formazione di staff o di contatto diretto con i dipendenti, avremo a che fare con persone che sono abitualmente soggette a seguire direttive aziendali, regole e modus operandi che nella maggioranza dei casi non sono scelte da loro, saranno perciò mentalmente preparati e predisposti ad ascoltare e assecondarci come sono tenuti a fare con eventuali corsi di aggiornamento o riunioni operative.
La loro predisposizione all’ascolto è una potentissima freccia al nostro arco che dovremo essere bravi a scoccare rapidamente e con la massima precisione, con il nostro atteggiamento e la nostra capacita di parlare in pubblico dovremo riuscire a coinvolgere chi ci sta davanti già nei primi attimi di conversazione, questo è di fondamentale importanza perché è proprio nei primi minuti che la mente del nostro pubblico decide se gli piacciamo e se ciò che stiamo dicendo e interessante, se lo è questo ci garantirà l’attenzione e la concentrazione del pubblico per il resto dell’intervento, in caso contrario sarà molto più difficoltoso che chi ci sta davanti ci ritenga credibili e degni di attenzione . Riaprire il canale di interesse una volta perso è molto arduo, utilizzate quindi la vostra padronanza della comunicazione verbale e non verbale per accaparrarvi il favore del pubblico.
A seguire potrete introdurre gli argomenti da trattare e le tecniche mentali più appropriate che saranno senz’altro recepite e messe in atto molto più facilmente da un uditorio motivato e con la mente libera da pregiudizi.

Sport

In questo settore la MCF si manifesta in percentuale minore rispetto al precedente, sono infatti ogni giorno di più gli atleti che si rendono conto dell’importanza che ha allenamento mentale e che di conseguenza decidono di rivolgersi spontaneamente ad un professionista del settore.
Capita tuttavia, soprattutto se parliamo di sport di squadra, che l’incipit ad avvalersi del nostro supporto arrivi direttamente dalle società sportive, purtroppo molto spesso quando si arriva a richiedere il nostro intervento è perché ci sono già dei gravi problemi da risolvere, problemi la cui responsabilità viene rimbalzata dalla dirigenza allo staff tecnico, dallo staff tecnico al team di atleti e dagli atleti di rimando allo staff tecnico e alla dirigenza, creando un circolo vizioso di scarico delle responsabilità e un clima di malcontento generale.
Questa atmosfera getta sul nostro ruolo un ombra di pessimismo, i tre settori infatti avranno tre percezioni differenti della nostra presenza tutti e tre con connotazioni più o meno negative.
Mi spiego meglio:

La società sportiva ci chiama preoccupata dal fatto che gli obbiettivi prefissati sono ben lontani dall’essere raggiunti dalla squadra, il più delle volte con la convinzione che qualunque sia il problema non è da imputare alle scelte societarie o alla dirigenza, non è interessata a stabilire se la colpa è dello staff tecnico o dei giocatori, l’interesse primario è che questa situazione gli sta costando in termini economici e di credibilità con gli sponsor. Nel migliore dei casi (quello in cui noi riusciamo a risolvere il problema) avrà comunque dovuto stanziare dei fondi non preventivati per richiedere l’intervento di un professionista, e quindi si aspetta che risolviamo il problema nel più breve tempo possibile e al minor costo possibile.

Lo staff tecnico dal canto suo è quello che rischia di più, del resto si sa, se una squadra non ottiene i risultati sperati la prima testa a saltare è quella dell’allenatore, che quindi ha una fortissima pressione addosso e si sente messo sotto esame, per questo ci accoglierà con lo stesso calore con cui un poliziotto accoglie un collega della disciplinare, la cosa che gli preme di più è conservare il proprio lavoro assicurandosi che vi sia chiaro da subito che ciò che sta accadendo non è colpa sua ma dei giocatori.

I giocatori il più delle volte associano ancora la figura del mental coach a quella di uno psicologo mandato a curare qualcuno di malato mentalmente e che deve essere guarito, sollevano quindi un muro di cemento armato a tenere la distanza tra loro e quello che sono convinti rappresentiate, questa classica situazione è facilmente riconoscibile, agitazione, sguardo truce e la classica frase “io sto bene non mi serve nessuno psicologo”.

E’ facile intuire che con questi presupposti è molto difficile raggiungere gli obbiettivi che ci vengono richiesti. Che fare?
Non potete pensare di affrontare le tre realtà assieme ma dovrete chiedere un confronto iniziale con ognuna di loro per dargli la libertà di esprimersi.
In questa situazione non vi basterà una sola freccia, ne serviranno molte, durante il confronto per prima cosa è molto importante che in mezzo ad una atmosfera cosi tesa la nostra presenza emani calma e tranquillità, questo metterà a proprio agio chi vi sta davanti che, in questo caso, non è affatto predisposto all’ascolto (come succedeva nel ambito business) ma piuttosto ha una irrefrenabile necessità di essere ascoltato, quello che vuole più di ogni altra cosa è darvi la sua versione dei fatti, ed ecco perché dopo la calma e la tranquillità la terza e più potente freccia al vostro arco è l’ascolto, lasciate che il vostro interlocutore si esprima, spieghi le sue ragioni e sfoghi le preoccupazioni e i disagi, questo lo aiuterà a tranquillizzarsi e a vedervi come un supporto anziché come un ostacolo o un pericolo, non esprimete pareri ma mostrate empatia, semplicemente ascoltate.

Alla fine rassicurate chi vi sta di fronte che siete li per aiutare a risolvere la situazione e che con il vostro aiuto “loro” potranno trovare una soluzione.
A confronto avvenuto la tensione si sarà placata e vi sarete conquistati rispetto e fiducia di tutte le parti. Solo allora potrete effettivamente capire analizzando le tre versioni, quale sia il percorso da seguire per affrontare e risolvere la situazione che vi si presenta davanti certi di aver acquisito credibilità attraverso il vostro approccio.

Life

Questo è senza dubbio l’ambito in cui la MCF si presenta più di rado, solitamente infatti chi si rivolge ad un life coach lo fa per scelta personale, le eccezioni sono tuttavia le più difficili da trattare. Sono a tutti gli effetti casi sporadici, nella mia esperienza ho avuto ad esempio a che fare con ragazzi che mi venivano affidati sotto la supervisione dei genitori per superare difficoltà di apprendimento scolastico o di socializzazione, oppure persone con dipendenze che vengono spinte dai familiari il più delle volte contro la loro volontà a rivolgersi a noi, o ancora persone che ci vengono indirizzate da medici o assistenti sociali.
In questi casi posate l’arco, proseguendo in questa metafora che associa le tecniche a delle armi da utilizzare, personalmente trovo che “affrontarli a mani nude” sia la soluzione migliore.
A volte ci dimentichiamo che le mani possono essere armi letali anche se che danno a chi ci sta di fronte la sensazione che siamo disarmati, questo è proprio ciò che vogliamo ottenere, chi si trova in queste situazioni non solo non è predisposto all’ascolto, ma non vuole proprio essere li né tanto meno vuole parlarci.
Come affrontare una tale situazione di disagio? Per prima cosa sorridete, quando queste persone si rapportano con voi devono avere la sensazione che anche se non gli va di essere lì sono comunque in un posto accogliente con una persona accogliente, se li ricevete nel vostro studio lasciate che siano loro a scegliere dove sedersi, offritegli un bicchiere di acqua se fa caldo, assicuratevi che non abbiano troppo freddo e troppo caldo, fate in modo che la conversazione sia il più naturale possibile, non aspettatevi che comincino a parlare ma se lo fanno ascoltateli, se invece capite che non intendono dire nulla fate delle domande dirette, ma semplici, chi sono, di cosa si occupano, perché sono li, chi li ha consigliati/”spinti” a venire, scavate lentamente, una volta trovato il cuore del problema tranquillizzateli, spiegate che il vostro ruolo è di aiutarli a trovare e pianificare una soluzione in modo che possano (loro) raggiungere l’obbiettivo.
In questi casi spesso non è sufficiente un solo incontro per rompere il ghiaccio del tutto, è fondamentale procedere senza fretta. Avete scavato, trovato lo scrigno a rappresentare il problema che impedisce al vostro interlocutore di vedere il tesoro che ha dentro, il passo successivo è aiutarlo ad aprirlo, le chiavi sono le tecniche mentali, date il tempo a loro e a voi di trovare e utilizzare quella giusta.

A chiusura di quanto detto credo che la chiave universale per sconfiggere il pregiudizio sulla nostra professione sia la chiarezza e la semplicità.

Lasciate che vedano chi siete, cosa fate e come lavorate e riusciranno a vedere anche dove potreste aiutarli ad arrivare.


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