«La disaffezione dei giovani rispetto ai giornali, e anche all'informazione televisiva, è molto diffusa non solo a causa dell'evoluzione tecnologica. La verità è che le redazioni sono portatrici di una cultura informativa novecentesca, con modalità che sono ancora, per priorità delle notizie e forma mentis, ancorate al passato. Il problema esiste, come si vede dalla disaffezione rispetto alla politica che pure occupa ancora gran parte di giornali e telegiornali».
Il direttore del TgLa7, Enrico Mentana, ospite del Festival del Giornalismo di Perugia, parla con l'ANSA del futuro di tv e editoria e spiega che la professione sta attraversando «una fase di mezzo». «C'è stata una rottura forte - sostiene -. Il Novecento italiano è arrivato alla caduta di Berlusconi, da lì in poi è stata una babele. I giornali hanno avuto lì l'ultimo urrà. Sopravvivono, trovano canti del cigno, ma la sostanza è che le nuove generazioni restano lontane».
«Tutto cambia dal punto di vista tecnico - prosegue -. L'accordo Sky-Telecom e quelli che seguiranno dimostrano che i prodotti televisivi passano attraverso tutti mezzi. Questa globalizzazione porta a grandissimi investimenti sulle produzioni di qualità, che sono in questa fase le grandi serie, ma cambia ben poco il giornalismo, che vive una fase di mezzo: gli investimenti sono stati realizzati negli anni passati, con molta presenza di personale giornalistico, molto ben tutelato, e cambiare completamente costringerebbe a investimenti che in questa fase sarebbero incomprensibili».
L'età media delle redazioni è una delle ragioni dell'allontanamento dei giovani, certificato anche dall'ultima indagine Censis. «I prodotti fatti da sessantenni sono per sessantenni - afferma Mentana -: non c'è stato ricambio, abbiamo bruciato una generazione intera». «I giovani si aspettano qualcosa di diverso da giornali e tg - argomenta -, ma non è stato ancora creato un prodotto alternativo. Quello che c'è di alternativo è la visita dei siti di informazione, che però è gratuita e non garantisce un futuro sostenibile. Viene il sospetto che il calcolo sia quello di aspettare che i giovani non siano più giovani, ma è lo struzzo che mette la testa sotto la sabbia».
Secondo molti broadcaster ed editori dovrebbero essere i colossi di Internet a remunerare in parte il sistema. «Il sistema di Google non prevede di dover dividere con chi rappresenta il passato - afferma Mentana -. La rivoluzione del web ha azzerato la gran parte dei diritti. È internet, bellezza. L'unica garanzia è che il web è sinora citazionista, ma non riposizionatore. Ancora non sono nati prodotti giornalistici realmente alternativi».
Un ragionamento che si ripercuote anche sulle ipotesi di riforma della tv, a partire da quella della Rai. «La riforma della Rai non può limitarsi a cambiare in corsa le modalità di elezione del cda, perché è in scadenza - sostiene Mentana -. Qui cambia il mondo, bisognerebbe ripensare tutto il sistema, non solo la tv pubblica. Spesso Renzi fa l'esempio del maestro Manzi e afferma che la tv deve avere un ruolo formativo, ma non è così: la tv deve avere un ruolo informativo, deve presentare il conflitto, non educare».
Per spiegare l'andamento altalenante di La7, con il calo di share soprattutto dei talk, Mentana usa una metafora. «Un venditore di gelati in un'estate fredda vende meno - argomenta -. Una tv molto votata all'informazione, anche per questioni economiche, è cresciuta nelle grandi stagioni, come gli anni passati con tante sorprese dalla politica, poi la situazione si è assestata. Una parte del pubblico ha provvisoriamente disertato quei contenuti, come è giusto che sia perché la tv è tante cose. La7 però resta quella che è, non si possono temporaneamente modificare i suoi lineamenti. L'informazione resta centrale, anche per far quadrare i conti». Così come il tg resta nelle mani di Mentana. «Ho fatto anche altro nella mia carriera - ricorda -, ma ormai ho sessant'anni, non posso diventare l'etoile della Scala. Quando non avrò più un telegiornale, mi riposerò».