di Paolo Cardenà- Alcuni mi chiedo perché sul blog, all'indomani delle elezioni, non sia uscito un articolo a commento dell'esito elettorale. Lo spiego subito, e le motivazioni sono semplicissime. 1- Commentare ciò che si commenta da solo, oltre ad essere un'inutile perdita di tempo, è anche un esercizio che rischia di cadere nella retorica, di cui tutti vorremmo farne un po' a meno. 2- In realtà, già nei giorni precedenti alle elezioni, avevamo già scritto tutto quello che c'era da scrivere sul tema. Puntualmente si è realizzato e sta prendendo forma, inciuci compresi.
Non è affatto un caso se nei giorni precedenti alle elezioni, scrivevamo:
[...] il PD rischia di trovarsi con un Premier che non è detto che sia quello designato con il voto espresso in quella sede (alle primarie N.d. r.), nonostante, secondo gli ultimi sondaggi disponibili (i sondaggi noti risalgono alla prima settimana di febbraio, N.d.r.), esista comunque una manifesta (?) possibilità di vittoria della coalizione di centro sinistra alle prossime politiche, che va tuttavia diminuendo. Vittoria che rischia comunque di non essere sufficiente ad assegnare al Pd un numero di seggi tali da consentire la governabilità del Paese.Bene, questo è quanto, e questo è ciò che è accaduto.
In quest'ultima ipotesi, l'appoggio della coalizione guidata dall'ex Premier Monti, sarebbe indispensabile (ma forse non sufficiente) per ottenere la maggioranza nei due rami del Parlamento. Lo spettro temuto dai mercati, dai tecnocrati e dai banchieri europei, è che il risultato elettorale non consegni una maggioranza tale da garantire la governabilità del Paese. Più precisamente, il timore è anche quello che non venga ampiamente confermata la devozione europeista della nazione, con la nascita di un esecutivo sostenuto da ali estreme alle coalizioni non del tutto filo-europeiste. Tale preoccupazione, a parer di chi scrive, si sta esprimendo anche sul livello dello spread del BTP decennale rispetto al Bund tedesco che nelle ultime sedute, ha ripreso la sua risalita fino ad arrivare ad infrangere la soglia psicologica dei 300 punti base, per poi ripiegare timidamente. L'eventuale ingovernabilità, con i mercati che a quel punto potrebbero mettere nuovamente sotto pressione il debito italiano, potrebbe spalancare nuovamente le porte alla formazione di un'ampia maggioranza tale da sostenere un nuovo governo tecnico, magari un Monti Bis o qualcosa del genere, purché apprezzato dai mercati. Ciò, in mancanza di un ulteriore tornata elettorale, che resta comunque un'opzione plausibile.
Insomma, in nome della salvezza della nazione ( anche se resta da capire da chi e da cosa bisognerebbe salvarsi, ma noi, questo, lo sappiamo benissimo), l'espressione democratica verrebbe nuovamente immolata sull'altare sacrificale di una camera a gas chiama Eurozona.
Ora c'è da dire che pare altrettanto inutile azzardare quali potrebbero essere le possibili soluzioni per uscire da questo pantano: inutile ipotizzare possibili tentativi di governo e paventate alleanze che rischierebbero di essere sepolte ancor prima di venire alla luce, ammesso che siano possibili. Tuttavia, mentre assistiamo alla genesi del prossimo golpe, che prenderà forma in nome della salvezza nazionale, la cosa certa è che, ancora una volta, il popolo italiano è ostaggio di una ben precisa nomenclatura politica, e incaprettato mani e piedi come nel peggior stile mafioso. Lo è socialmente, economicamente, politicamente e psicologicamente. Gli autori di questo disastro, verranno consegnati alla storia come i peggiori politici dell'era umana, a livello planetario. E proprio Bersani, rischia di esserne l'emblema. Perché proprio Bersani, vi chiederete? Beh, costui è quanto di più antico, antiquato e obsoleto possa esserci nel panorama politico italiano. Lo è nella sua dietrologia, come lo è nel suo pensiero, avulso a cogliere la realtà sociale ed economica dell'Italia, al pari dei suoi colleghi. Chi scrive ritiene che egli, insieme a tutti i colonnelli del suo partito, abbiano molte più responsabilità in aggiunta a quelle che solitamente gli si attribuiscono. Responsabilità che, non meno di quelle di chi ci ha governati in questo ventennio, sono prodromi al fallimento della nazione. Cerco di spiegarmi, banalmente. In qualsiasi genere di competizione, contrapporsi con un avversario qualificato, preparato, attento e sempre pronto a migliorarsi, costituisce uno stimolo verso chi quell'avversario cerca di combatterlo e batterlo. Questo, nella vita umana, è ciò che si consuma in tutti i contesti animati da competizione: dallo sport al lavoro, dalla scuola fino a qualsivoglia contesto sociale. Vale per l'atleta che si allenerà di più per primeggiare sull'antagonista; vale per l'imprenditore che si adopererà affinché la sua azienda possa avere maggiori quote di mercato rispetto ai sui diretti concorrenti. Ma non vale nel contesto politico italiano, dove la sinistra, in un ventennio, non è stata capace di sconfiggere e rendere inoffensivo il principale antagonista politico e tra i maggiori responsabili del fallimento dell'Italia. In realtà, in tutto questo lungo arco temporale, la "gara" che si è disputata nel contesto politico, è stata una competizione al ribasso. Ora, è del tutto evidente che chi non è stato capace di opporsi al degenerare del sistema con tutte le conseguenze che ciò ha prodotto, non può non essere corresponsabile dello sfascio che sta vivendo l'Italia. Men che meno dovrebbe candidarsi come modello di governo alternativo e risolutivo, stante la complicità con cui si è condotta una nazione allo sfascio. Chi è causa del problema, non può esserne anche la soluzione. Mi sembra logico e ragionevole, perfino ovvio. Detto ciò, oltretutto, penso anche che lo stesso Bersani abbia un'evidente e diretta responsabilità anche sull'attuale crisi politica. Crisi che, come ben sappiamo, rischia di far sprofondare del tutto il paese in un baratro senza fine.
Infatti, se Bersani, dopo 30 anni di "onorata" poltrona politica, si fosse fatto da parte lasciando spazio e promuovendo il rinnovamento, anche il PDL avrebbe dovuto fare altrettanto, e adesso non saremo qui a parlare di politici morti. Sarebbe mutata profondamente anche l'offerta politica: magari non ci sarebbe stato un candidato Monti, e a destra, anche Berlusconi, avrebbe dovuto fare altrettanto. Il fenomeno Grillo sarebbe stato molto più contenuto, se non insignificante. In altre parole, avrebbe portato comunque ad un rinnovamento di tutto il contesto politico italiano e avrebbe contribuito a rimarginare la frattura tra politica e cittadini. L'impertinenza e l'insistenza con la quale ci si ostina ad occupare un ruolo che non compete, indigna e indispettisce. Uno statista, queste cose le avrebbe capite e promosse. Ma non lui, per il semplice motivo che anziché essere uno statista, è un pessimo burocrate di partito pervaso da interessi partigiani. Ma voi direte che ha vinto le primarie e la democrazia va ossequiata. E' proprio qui che vi sbagliate! Perché quelle non sono affatto primarie, ma semplicemente una farsa per dare parvenza di suffragio popolare ad una investitura di partito, avvenuta secondo i rituali di una ben precisa nomenclatura politica, depositaria ancora di tutti i crismi del peggiore PCI. E sulle primarie ce ne sarebbe da dirne altre. Tramortiti dal risultato elettorale uscito dalle urne, ora si stanno interrogando sugli errori commessi, non comprendendo che l'errore sono loro stessi: il loro modo di fare, di pensare e di programmare il futuro della società e della Nazione. La crisi economica è profonda, forse senza precedenti nella storia repubblicana. Dire che è qualcosa di epocale, potrebbe apparire solo come un pallido eufemismo. Occorre imprimere immediata discontinuità e pensare un percorso strategico per la nazione, sia nell'immediato (ossia oggi), che nel breve e nel lungo periodo. Lo stallo politico uscito dalle urne, esaspera una situazione già disperata. Occorrono interventi urgenti, cambiamenti profondi, audacia, coraggio e riforme sistemiche, trasversali ed immediate. Queste non potranno mai realizzarsi in assenza di una quadro politico favorevole e di ampio consenso elettorale. Non è un caso, che le cronache di questi giorni convulsi, raccontano dei tentativi che si stanno compiendo per mettere su un governo che possa ottenere in parlamento qualcosa che assomigli ad una fiducia. Si elemosinano sostegni, a destra e a manca. Ma in queste condizioni, con l'ostilità politica regnante tra le diverse forse politiche, ammesso che possa nascere un governo di scopo,di transizione o di unità nazionale, difficilmente si riuscirà ad interrompere il vortice di devastazione in cui è precipitata l'Italia. La situazione è grave, gravissima. Si ha la sensazione che stiano perdendo tempo, del tempo prezioso.Tutti azzardano ipotesi, statistiche, analisi, che in realtà riescono solo ad apparire un macabro rituale per raccontare i referti di un’ispezione cadaverica di una Nazione ormai prossima al trapasso.
Proprio oggi l'Istat ha comunicato i più recenti dati sull'occupazione e ne emerge un quadro catastrofico:
Da AnsaROMA - Il numero di disoccupati a gennaio sfiora i 3 milioni. Lo rileva l'Istat, precisando che con un aumento di 110 mila unità (+3,8%) su dicembre si è arrivati 2 milioni 999 mila. Su base annua la crescita è di oltre mezzo milione di disoccupati (+22,7%, +554 mila unità).
Nel 2012 il numero dei precari ha toccato i massimi, con 2 milioni e 375.000 contratti a termine e 433.000 collaboratori: si tratta di 2,8 milioni di lavoratori senza posto fisso. Il livello di dipendenti a termine è il più alto dal 1993 e quello dei collaboratori dal 2004, cioé dall'inizio delle serie storiche relative.
La disoccupazione giovanile (15-24 anni) è salita a gennaio al 38,7%, il massimo dall'inizio delle serie storiche dell'Istat sia mensili (gennaio 2004) che trimestrali, ovvero dal quarto trimestre del 1992.
DISOCCUPAZIONE GIOVANI SPAGNA E ITALIA AL TOP IN UE- Record disoccupazione giovanile a gennaio 2013 in Italia, che con il 38,7% di giovani senza lavoro é il Paese più colpito in Europa dopo la Spagna, dove ha raggiunto il 55,5%. Lo comunica Eurostat. In Italia un anno fa (gennaio 2012) era a 32,3%, in Spagna a 50,2%