Vede, dottore, il mio problema è strano: a volte scrivo cose così belle che mi pare impossibile le abbia scritte io. E non pecco di presunzione! A dire il vero, di peccati ne commetto tanti, arroganza inclusa, ma a volte mi pare di voltare le pagine dell’eternità mentre scrivo su quaderni a righe. Non amo i quaderni a quadretti: mi fanno sentire ingabbiato. Le righe invece le tollero. Vorrei saper scrivere in maniera elegante su fogli completamente bianchi, ma poi mi accorgo che ognuno di noi ha bisogno di una guida. Nel mio caso, mi basta seguire la retta via delle mie righe. E dopo averlo fatto, chiudo il quaderno e lo dimentico da qualche parte in questa casa fatta di polvere e lattine vuote: da un po’ di tempo, la birra la acquisto in lattina, perché mi semplifica la vita nella raccolta differenziata.
E poi la lattina è un bersaglio più pratico da colpire con la mia Beretta: quando colpisco le bottiglie di vetro, si frantumano. La lattina si squarcia, ma la si raccoglie facilmente e la si infila nella busta gialla della plastica e dei metalli. Così, lo devo ammettere davvero: a volte scrivo cose così belle che mi pare impossibile le abbia scritte io. Ma la realtà è che molto molto molto molto spesso ascolto un pezzo musicale così bello che mi chiedo come abbia mai potuto quel giorno l’artista scriverlo. Magari c’erano varie divinità dei mondi superiori quel giorno a pranzo con l’anima dell’artista.
E perché non dovrei ammettere che una volta ho visto danzare Pina Bausch in Café Muller e mi sono reso conto che non sempre servono le parole per comunicare, e che la danza non è necessariamente un ritmo, ma può essere semplicemente un’emozione senza regole. E penso che nemmeno Pina fosse conscia di tale bellezza, quando la architettava. Diciamoci la verità: a volte tutti scriviamo qualcosa di così bello, che la bellezza stessa risulta impreparata a tale lettura. Ci sono giorni in cui sposto anni luce lontano il confine della mia coscienza, con un solo semplice soffio. Un attimo prima sono convinto di aver capito qualcosa, e pochi istanti dopo mi si spalanca la vastità di tutto quello che potrò ancora capire ed imparare, scoprire e vivere, semplicemente dopo aver compreso qualcosa. La scoperta del fuoco, in fin dei conti, al di là del fuoco stesso, ha aperto le porte a miriadi di nuove applicazioni, usi, fusioni, armi e amori riscaldati dalla fiamma. E bastò una scintilla a far nascere il fuoco, bastò una scintilla e si fusero i metalli, e di leghe metalliche saranno fatte le astronavi.Tutto da una scintilla. Così, da una scintilla tutto parte anche per me: ho scritto qualcosa di così bello, da non riuscire a comprenderlo, ma mi fa emozionare il ricordo di quel che ho scritto. E questa volta non l’ho scritto sul mio quaderno a righe. Non ho trovato in tempo la penna, o forse non l’ho cercata abbastanza. Mi sono limitato a scriverlo con i pensieri, in me. E mi sono emozionato. Non ho pianto, né ho riso: credo nessuna delle due cose avrebbe reso l’idea di quale emozione abbia provato. Forse ho inventato una nuova emozione, o forse l’ho solo scoperta. Ma ora non conta. Non conta più. Dottore: ho bisogno di una cura per questa malattia, per questa memoria che mi sottopone ogni fotogramma della mia vita, tranne quella pagina che ho scritto nella mia mente, e che forse era troppo bella, o troppo importante, per essere ricordata. Dottore: cosa devo fare per emozionarmi ancora così? Sono passati quasi 20 anni, ed io ancora aspetto quella pagina.
Francesco Giannini