Magazine Cultura
Capita talvolta che la memoria lasci affiorare le cose in tutta la loro significanza ad illuminare il presente delle situazioni esistenziali. Questo processo ci svela che le immagini immateriali sono in grado di riattivare la sensibilità corporea addensata nel mistero del ricordo. Deriva da questo processo un'acutezza sinestetica che arriva al cuore delle cose. Il ricordo, pertanto, si rivela consistente di materia, perché esso si è incarnato nelle nostre cellule neuronali in virtù della nostra sensibilità. È accaduto per questo che stamani, a chi, sintonizzando linguaggio verbale, intonazione e gestualità pensava di recitare bene, mentre si affannava mellifluamente a darmi un'informazione nuova su un fatto di comune interesse - “attrice”- stavo per replicare. Mentre mi trattenevo da questa esclamazione si è configurata ai miei occhi la scena finale di un film del 1981, Mephisto. È questo un film doloroso, spietato, che mette a nudo l'impossibilità, per un artista, di conciliare la libertà espressiva con il potere. Il film, ispirato al regista ungherese Istvàn Szabó da un romanzo di Klaus Mann, narra la vicenda di un attore di teatro che, spregiudicatamente, pensando di essere al di là del bene e del male per la sua bravura, stringe un patto diabolico con un potente nazista. Della doppiezza schizofrenica del male è emblema lo stesso titolo del film. Mephisto infatti rimanda al protagonista, interpretato magistralmente da Klaus Maria Brandauer, che crede di poter giocare il ruolo di Mefistofele per sfidare vittoriosamente il nazismo. Ma l'ambizione è tra i fantasmi più ingannevoli e crudeli della nostra mente. L'ambizione soggioga ed acceca. Infine incatena. La libertà, solo la libertà, alimenta l'arte umana. Nella scena finale del film, sotto i riflettori della storia il grande attore Hendrick Höfgen si protegge dal giudizio dei posteri lamentando che lui è solo un attore. La giustificazione gli è suggerita dallo stesso scherno del generale nazista, sotto la cui protezione si era messo, che poco prima gli aveva gridato beffardamente -“attore!”-. Ma Hendrick Höfgenè un grande attore, emblema della schiavitù per la sottomissione a un grande potere. Nel quotidiano si incontrano, invece, attori pessimi ed attricette che stringono il loro patto con piccoli gerarchi, registi di baracconi, ed ingannano i loro compagni di strada per superficialità e per assecondare mediocri ambizioni. Sfoggiano molto male, però, costoro il loro talento, una falsa moneta in realtà, che suona fasulla al primo tintinno. Ma la Storia farà il suo corso, finché sotto i suoi riflettori accusatori ci finiranno non solo i potenti, grandi o meschini che siano, ma anche i servi, ruffiani ingannatori. Quanta sofferenza, ahimè, lungo la strada! E quante vittime!
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