Vuoi per il caldo insopportabile vuoi perché, trovandosi così vicino al Sole, è talmente illuminato da illuderci di aver ben poco da nascondere, fatto sta che Mercurio è una fra le destinazioni più snobbate dell’intero Sistema solare. Dagli albori dell’esplorazione spaziale a oggi, due missioni soltanto lo hanno eletto a loro obiettivo principale: quella del Mariner 10 della NASA, negli anni Settanta, e l’ancora operativa Messenger, anch’essa della NASA. Lanciata nell’agosto del 2004, la sonda Messenger (MErcury Surface, Space ENvironment, GEochemistry, and Ranging) ha compiuto proprio in questi giorni – domenica scorsa, il 20 aprile – la sua orbita numero 3000.
Dal 17 marzo del 2011, giorno in cui Messenger ha iniziato a orbitare attorno a Mercurio, la distanza fra sonda e pianeta è andata via via diminuendo. Con grande cautela, vista l’alta superficie del pianeta, e con alti e bassi considerevoli: essendo un’orbita molto ellittica, la distanza dalla superficie ha oscillato fra i 200 km e i 15mila km. Con un periodo di rivoluzione inizialmente di 12 ore, poi sceso a 8 ore nell’aprile del 2012. Da oggi il gioco si fa ancora più interessante. E ancora più ardito. Mentre il contaorbite segnava il numero 3000, infatti, anche l’altimetro stabiliva un nuovo record: 199 km dal suolo di Mercurio. Interessante soprattutto dal punto di vista scientifico: più cala la distanza, più aumenta la risoluzione. Non solo: aumenta anche il numero di orbite quotidiane, e con esso la quantità di rilevazioni topografiche utili.
«La copertura osservativa tramite lo MLA richiede tempi molto lunghi», spiega Carolyn Ernst, responsabile di uno degli strumenti a bordo del Messenger, il Mercury Laser Altimeter (MLA), «e poiché il fascio del laser è molto stretto, sono necessari moltissimi passaggi per ottenere una buona risoluzione spaziale. Più dati riusciamo ad acquisire, meglio siamo in grado di ricostruire la topografia del pianeta. Il passaggio a un’orbita di 8 ore ci ha anche permesso di ottenere più misure di riflettività, grazie alle quali siamo riusciti ad avere indizi fondamentali per caratterizzare le regioni brillanti osservate alle alte latitudini settentrionali».
Risoluzione e quantità di dati destinate, nei prossimi mesi, a migliorare ancora, visto che la distanza minima è destinata a scendere ulteriormente. «A oggi, le nostre misure con neutroni, raggi X e raggi gamma ci hanno permesso di risolvere solo regioni molto grandi del suolo di Mercurio. Scendere ad altitudini inferiori ai 100 km», dice David Lawrence, della Johns Hopkins University, «ci permetterà d’individuare le firme di caratteristiche geologiche particolari, informazione che a sua volta ci aiuterà a comprendere l’origine e la storia della superficie del pianeta».
«L’ultimo anno d’operazioni orbitali di Messenger costituirà in pratica una nuova missione », conclude il principal investigator della sonda, Sean Solomon, della Columbia University. «A ogni nuova orbita, le immagini, le misure relative alla composizione del suolo e le rilevazioni dei campi magnetici e gravitazionali del pianeta che otterremo avranno risoluzione maggiore rispetto a quelle già in nostro possesso. Saremo in grado, per la prima volta, di caratterizzare le particelle presenti nell’ambiente vicino alla superficie. Fino a oggi Mercurio è riuscito a custodire gelosamente i suoi segreti, ma ora per molti di questi è giunto il momento d’essere svelati».
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina