È giusto che un blog abbia anche una certa utilità sociale e che dedichi alla stessa interi post come in questo caso. Personalmente mi trovo spesso ad aver bisogno di consigli non tanto su cosa vedere ma su cosa evitare con cura. Non fa piacere a nessuno, infatti, dedicare ore della propria vita a prodotti che non meritano attenzione alcuna. Avere, pertanto, un povero deficiente che si è involontariamente immolato per la causa sperando magari in prodotti di qualità, e al tempo stesso così di buon cuore da mettere in guardia il suo prossimo, non può che far piacere. Oggi il deficiente sono io. Dovendo inoltre accumulare buone azioni per compensare gli stupri alle vecchiette con cui soddisfo i miei istinti nel week-end elenco qui di seguito, senza un particolare ordine, né un criterio specifico, alcune delle serie televisive giovani e meno giovani nelle quali mi sono imbattuto che meriterebbero decisamente di essere ignorate.
- "CAMELOT":
Dall'emittente che ha trasmesso quel gioiellino inaspettato che risponde al nome di “Spartacus” – sia “Blood and Sand” sia “Gods of Arena” - ci si aspettava un prodotto quanto meno decente, specie con un soggetto che è già di suo assai adattabile ad una serie televisiva. Il risultato ha invece sfiorato di pochissimo il disastroso. Nonostante le ambientazioni, infatti, appare tutto sempre un po' troppo posticcio, grazie anche e soprattutto ad interpretazioni per niente convincenti. A Joseph Finnies è chiaramente sfuggito il concetto di “recitazione” mentre il protagonista, Jamie Campbell Bower, sembra non aver capito che “Camelot” non è il rush finale dei provini per “Dawson's Creek”. I dialoghi dal canto loro non aiutano affatto. Non solo non convincono ma neanche provano a farlo. E a non funzionare, più in generale, è l'intera sceneggiatura, capace di appassionare quanto un'enciclica papale. E pensare che è comunque più valida di "Merlin", simile per soggetto e scarsa qualità. Se mai troverò le forze parlerò di quest'altro capolavoro. Spero di no.- “24”:
Sono molto combattuto riguardo questa serie. Partiamo dal presupposto che è in assoluto tra le cose più idiote che siano mai state partorite. È però così imbarazzante che nutro per la stessa un affetto enorme. Il suo protagonista è per me ciò che durante un'acuta parentesi depressiva uno psicofarmaco non riuscirebbe mai ad essere; ripenso a lui, alle sue frasi, alle sue gesta e il sorriso ricompare quasi immediatamente sul mio volto. Jack Bauer – interpretato da un Kiefer Sutherland in versione marmo - è il personaggio più ridicolo di sempre: lavora per il CTU, è fortissimo, è intelligente da far schifo ed è onesto fino al midollo; tanto da mettersi contro chiunque, contro un terrorista come anche contro il presidente degli Stati Uniti, o contro i presidenti, dato che gli capita di incontrarne un paio nello stesso giorno, perché magari il primo è caduto ed è subentrato l'altro; oppure perché il primo è morto per ordine del secondo. Insomma, cose così. Ogni stagione è composta di 24 puntate, ed ogni puntata racconta un'ora di quella giornata. Ora, in una stagione sola quest'uomo fa di tutto. Combatte terroristi, combatte presidenti, combatte associazioni segrete, combatte contro le talpe nel CTU, si occupa della figlia, manda affanculo i suoi superiori e si becca proiettili senza ovviamente risentirne. Il tutto senza mai mangiare o andare in bagno. Una volta per il bene del Paese – Paese che non perde occasione per dargli la caccia con la scusa che non segue le regole – si è offerto di consegnarsi ai cinesi e farsi torturare per non ricordo bene quanti mesi o anni. Inutile dire che i cinesi da lui hanno ottenuto giusto un pugno di mosche. Morte. Insomma, senza portarla troppo per lunghe, “24” è un prodotto ridicolo, per niente credibile, con personaggi non approfonditi neanche per sbaglio ed esagerato all'inverosimile. Ha sprecato un'idea assai innovativa in termini di struttura e narrazione in maniera davvero pessima. È però anche la nuova frontiera della comicità, tanto da essersi guadagnato una pagina meravigliosa su Nonciclopedia.
- “FALLING SKIES”:
È quanto di più americano ci possa essere, quindi estremamente urticante. Come ho già scritto da qualche parte non sono contro lo stereotipo, se usato con mestiere, ma non riesco in nessun modo a sopportarlo se usato con faciloneria e magari anche spacciato per qualcosa di gran valore. La serie prodotta da Steven Spielberg lo stereotipo lo chiama decisamente e va benissimo così, volendo essere una classica storia di invasione aliena, di resistenza dell'umanità e via discorrendo. Il problema però sta proprio nel non rispetto di quel “se usato con mestiere”. I soldi son stati spesi e si vede, lo scenario post apocalittico funziona, la regia fa il suo dovere, ma la noia è incalcolabile. Ogni fotogramma, ogni parola, ogni sguardo è quanto di più lontano ci possa essere dal concetto di originalità, come anche da quello di coinvolgimento. Un ammasso di cose già viste che resta tale, che non si distingue minimamente e che anzi eleva fin quasi a celebrare lo stereotipo, tanto che bastano davvero poche puntate a rendere terribilmente fastidiosi i personaggi, i loro discorsi sull'andare avanti, sulle vittime e sulle divergenze. Scontati e banali al punto di non riuscire quasi a seguirli fino al termine.I personaggi sono allo stesso modo scandalosi. Il protagonista ha uno spessore tale che gli alieni non si accorgerebbero della sua presenza; il capitano Weaver costringe lo spettatore a sperare nella sua mote ad ogni puntata; gli altri sono tappezzeria, tranne forse John Pope.La serie ha registrato ottimi ascolti, chiaro.Avrei scritto anche di un'altra serie che merita tutte le offese di questo mondo, oggi, ma purtroppo l'ho già fatto: “Strike Back”.
Ovviamente questo appuntamento verrà rinnovato.