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Mi sono innamorata di te perché non avevo niente da fare... E quello era un periodo in cui non facevo un cazzo, in cui non si batteva chiodo, in cui non si fumava una cicca. Una vecchia storia, dato che "il mio problema" mi aveva causato un sacco di difficoltà nel relazionarmi con l'altro sesso. Già da ragazzina, al tempo delle prime cotte avevo dovuto rendermi conto del mio limite che con l'età era diventato sistematico. Con il passare degli anni la situazione si era aggravata, i tempi di resistenza si erano ridotti e gli attacchi aumentati. Mi capitava all'inizio di ogni una nuova relazione, durante i primi approcci.
Non riuscivo a monitorare il mio intestino che si perdeva in molteplici appuntamenti giornalieri. Una sorta di cocktail di benvenuto al nuovo arrivato, quello che fa un gatto per delimitare il territorio e prenderne possesso. Anche io dovevo piantare bandiera, segnare i miei confini. Lui era bellissimo, io pure. Era il professore di matematica più bello che io avessi mai visto, lo guardavo da mesi; anche lui guardava me. - Alessandro scusa, scusa, io... io... io devo scappare, devo andare via - erano le uniche parole che riuscivo a dirgli, ma no perché non ne avessi altre, ma perché non riuscivo a fare in tempo: il tempo utile prima che il mio stomaco comunicasse al mio cervello e il mio cervello al mio intestino che Alessandro era lì. La motilità del mio stomaco su di giri. Passavo minuti che diventavano ore a pensare a lui, nel cesso, mentre le budella mi si aggrovigliavano dal dolore. Il bagno dei professori, dove mi spettava andare di diritto era diventata la mia seconda casa. Conoscevo tutto di quella stanza, ogni singola fessura delle mattonelle color vaniglia, i rombi marroni disegnati sopra ad alternanza, uno più grande uno più piccolo. Mi ero perfino fatta la copia della chiave, era una gran perdita di tempo ogni volta cercare o aspettare che il bidello la ritrovasse. Ci sono momenti preziosi, minuti che ti possono cambiare la vita e anche un nanosecondo in questo caso avrebbe potuto cambiare la mia. E se qualcuno si fosse dimenticato a riconsegnarla sarei stata proprio nella merda. Non potrò mai dimenticare il giorno in cui mi baciò per la prima volta e non riuscii a scappare. Avevo la chiave, la tenevo nella tasca esterna della mia borsa ma non feci in tempo a prenderla. Era fine Maggio; uno di quei noiosissimi consigli di classe: voti, nomi, sguardi... i primi crampi. Indossavo un abitino bianco semplice con una profonda scollatura. Il professore non faceva che guardarmi, dava i numeri e guardava: - Seggio 6; Tarabrino 4; Volpe 5; Zangara 6... fino alla fine dell'elenco alunni. Il registro aperto, notai che lui era stitico nei voti: un batter di ciglio, un movimento, un colpo d'occhio, un crampo. Ogni accenno di un suo sorriso incontrava un mio spasmo. Mi stringevo, continuavo ad accavallare le gambe, tremavo a tratti, la mia fronte perlata, le mie labbra fredde, il mio viso rosso alcol - lo so, perché mi ero controllata con lo specchietto che tengo dentro la borsa mentre cercavo una caramella per rianimarmi. Lui continuava a guardarmi - Ti prego anche la prof. di filosofia non è male - ti prego guarda lei! Nulla contribuì a interrompere il suo interesse per me; il mio pensiero non arrivò al suo e tutto andò come doveva. Mi sentivo gli spilli al cervello, volevo scappare via e lui guardava, guardava, mi sorrideva pure - basta smettila! Non ce la faccio più! - Mi sembrò eterno l'interminabile consiglio di classe. All'uscita lui mi bloccò; erano già tutti andati via e lui mi afferrò deciso. Fu un lampo, un tuono, avevo la sua lingua che girava attorno alla mia. Aveva un suo verso, era umida; non respiravo, non riuscivo a staccarmi da lui che continuava a baciarmi, a stringermi. Non ci fu bisogno che mi sforzassi per capire che c'ero, era chiaro. Il mio stomaco mi parlava e i segnali evidenti: senso di vuoto, succhi acidi senza comando. Il mio stomaco a pezzi lamentava sconfitta. I villi intestinali deposero le armi, gli sfinteri si arresero; più mi baciava più mi sentivo mescolare dentro; avvertivo lo spostare dei miei organi interni che non ritrovavano posizione originale. Volevo prendere la mia borsa. Là, stava la chiave, ma lui mi stringeva e quanto era bello stare lì, tra le sue braccia! Emozioni legate si attorcigliavano al mio stomaco; ne ero piena, mi sentivo scoppiare. Non ne potevo più! Baciava troppo bene. Vampate. Le budella a vivo. Non mi controllavo più, mi lasciai andare emotivamente; adesso non era solo la sua lingua c'era anche la mia; riuscivo appena a tenere il controllo, mi tremavano i piedi dentro le scarpe fredde. Cercai di invertire rotta per non consumare l'unione letale: non riuscii a divincolarmi mentre stavo attenta che tenesse le mani al posto giusto. Il seno mi sembra il più tranquillo, pensavo, riflettendo in silenzio sul mio problema. Lui ignaro ansimava felice, continuava a toccarmi, leccava le mie orecchie. Io mi lasciai andare e con un urlo liberatorio allentai le mie braccia lungo i fianchi. Presa coscienza della verità, sentii l'odore del corpo di lui in missione sul mio. Per istinto girai la testa e guardai dietro, lui scivolò il suo braccio lungo la mia spalla sinistra, fino al fondo schiena e poi giù, un po’ più giù. Temevo la mia reazione, tremavo di paura, avevo capito tutto. Che figura! Abbassai la testa, guardai la sua mano, alzai gli occhi, guardai lui e terrorizzata urlai.
Nina Tarantino