di Annalisa Mariano
ph.Elena Mannocci
La dignità non consiste nel possedere onori,
ma nella coscienza di meritarli
(Aristotele)
Se nella piramide sociale ciascuno deve avere il posto che gli compete, i migliori dovrebbero stare al vertice, ricevendo una giusta ricompensa sociale, in termini di remunerazione e prestigio, per i servizi forniti grazie alle loro capacità, la preparazione, le competenze: in breve, per il loro merito. Ciò risponde in primo luogo ad un principio di giustizia: chi eccelle deve ricevere un premio adeguato ai suoi meriti; in secondo luogo, ad un principio di utilità: le funzioni che comportano responsabilità rilevanti e le cariche direttive conviene che siano ricoperte da chi offre le migliori garanzie in termini di ottime prestazioni.
Oggi più che mai,con un tasso di disoccupazione che raggiunge percentuali altissime, si chiede a chi governa la piena attuazione del principio meritocratico e il diritto di veder tutelati i diritti di chi investe (anche economicamente) nella propria formazione. Si spende tempo e denaro (generalmente a carico delle famiglie) in corsi universitari, master, viaggi per studiare la lingua comunitaria nell’attesa speranzosa che un giorno tutto questo sforzo verrà in qualche modo ricompensato. Poi quel giorno non sempre arriva e si assiste,così, alla delusione, inevitabile, di chi si vede sempre o quasi sempre scavalcato (si legga fregato) da chi, per motivi non propriamente legati alle capacità personali, al percorso di studi intrapreso (e talvolta neanche concluso) riesce a “guadagnarsi” anche lavori e incarichi prestigiosi.
Eppure ne sono passati di anni da quel 1954 quando Sir Michael Young, il laburista inglese coniò il termine “Meritocrazia”,inventando l’“equazione del merito”: I+E=M, dove “I” è l’intelligenza (cognitiva ed emotiva) ed “E” significa effort, ovvero gli sforzi dei migliori. La “I” porta a selezionare i migliori molto presto, azzerando i privilegi della nascita e valorizzandoli attraverso il sistema educativo: è l’essenza delle “pari opportunità”. La “E” è sinonimo del libero mercato e della concorrenza che, sino a prova contraria, sono il metodo più efficace per creare gli incentivi economici per i migliori.
Se nel frattempo qualcosa fosse cambiato, Roger Abravanel nel suo libro Meritocrazia-Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto (Garzanti Ed., 2008) non sosterrebbe che la carenza di meritocrazia in Italia è un problema rilevante per la nostra economia e società. A questa considerazione, aggiunge numerose denunce contro il “mal di merito” e ne analizza le sue cause, inoltre elabora qualche proposta molto interessante per fare emergere i più talentuosi considerando il merito la terapia d’urto per fare tornare l’Italia dinamica e fiduciosa nel futuro. Ma come far tornare l’Italia dinamica e fiduciosa nel futuro se l’inversione di tendenza e il dinamismo “meritocratico” non partono dai comuni, dalle province e dalle regioni? E’ lì che l’urgenza si fa sentire e diventa minacciosa poi, a livello nazionale. La scarsa cultura del merito, come dimostra Roger Abravanel, è la causa principale dell’impoverimento del nostro Paese; inoltre ha fatto dell’Italia la società più ineguale del mondo occidentale.
Meritocrazia illustra i valori profondi di giustizia e di eguaglianza su cui sono fondate l’ideologia e la cultura del merito e presenta una serie di esperienze pilota nelle aziende, nella pubblica amministrazione, nei sistemi educativi, nelle organizzazioni militari. Approfondisce le cause del «mal di merito» nella nostra società e nella nostra economia. Segnala alcuni «semi del merito» italiani nelle imprese, nella ricerca scientifica, nella giustizia, dimostrando che anche da noi si può praticare la meritocrazia. Questa ampia e puntuale analisi consente di andare oltre le tradizionali denunce contro il sistema delle raccomandazioni e le vaghe dichiarazioni dei politici a favore del merito. Occorre dare slancio al nostro Paese, ispirarsi alle società più avanzate nello sviluppo della meritocrazia per sbloccare un’economia che stagna da più di vent’anni, è indispensabile valutare e valorizzare il talento nella scuola e nell’università, negli enti pubblici e nelle imprese. È necessario restituire ai consumatori e ai cittadini un ruolo centrale. È drammaticamente urgente un cambiamento culturale necessario per rispondere alle sfide del nuovo millennio perché di fatto l’assenza di questo sistema di valori ha prodotto una classe dirigente debolissima e inadeguata di policy makers, leader e dirigenti della pubblica amministrazione.