Merry Christmas Motherfuckers

Creato il 24 dicembre 2010 da Elgraeco @HellGraeco

24 Dicembre 2012

Ho comprato alcune foto d’epoca. Memorabilia del cinema italiano di fine anni ’60. Nel mucchio ne è capitata una raffigurante dei bambini orribili, dalle orbite vuote. Il tipo ha preteso 240 sterline.
Un tempo gli avrei riso in faccia e me ne sarei andato. Ora, i soldi non mi sembrano più così importanti. E poi, le foto sono meglio di un maglione o di un anello, considerate le circostanze. Ho tenuto quella dei bambini. Non so perché. Non ho certo intenzione di regalargliela.
Sono un Docente di Letteratura e Filologia Romanza della mia Safety Zone, la numero 013. Lo sono da un mese, ma ancora non s’è visto nessuno studente. Me ne sono stati assegnati 15. Tutti d’età compresa tra i 19 e i 24 anni. Mancano le prospettive, anche solo per farsi prendere dall’idea di mettersi a studiare. Lo stipendio, però, l’ho percepito lo stesso. Efficienza inglese. Insieme a quello, un certificato di soggiorno a tempo indeterminato e un documento che attesta che non sussistono procedimenti penali pendenti contro di me, in modo piuttosto contorto. Sono “non giudicabile” che è  sinonimo di innocente. O del fatto che il governo britannico non se ne frega un cazzo se ho ficcato in bocca a un tizio un iPad e ho spinto.
Non un sollievo, quest’ultimo, visto che io sono innocente per la stessa ragione per cui mezza Europa e il resto del mondo stanno morendo.
Ma dubito che, potendo, cambierei le cose.

Dato che i commerci con l’estero sono sempre più difficili, mi sono dovuto accontentare, per trovare le foto, di un tipo che ha messo su un emporio nella zona numero 07. Uno che ai soldi e alla ricchezza presente e futura ci crede ancora.
Da più parti, compresa questa in cui mi trovo, hanno deciso di festeggiare il Natale.
Una settimana fa mi sono trasferito a casa di Zooey. Dopo tre giorni ha ricevuto la notizia. Di sua sorella, sua madre, suo padre, ancora niente. Suo marito, invece, è morto. Confermato.
Io ero lì con lei quando gliel’hanno comunicato al telefono.
Credo che mi odi. Tutto questo a prescindere. Come il casino che succede là fuori.
Io ero là, a fomentare il suo senso di colpa. E tanto basta.
Quando mi annoio me ne vado nel garage di Erica. Lei è Docente in Sociologia, ovvero ex-commessa di Harrods, che è la stessa cosa. Medesima efficienza inglese. O potenza della raccomandazione di una stella hollywoodiana in declino.
Erica è riuscita a procurarsi un biliardo, gesso, palle e stecche. Ci sa fare. Scommette con tutti. L’ultima cosa che ha vinto è una doppietta da caccia dal suo vicino di casa. Un cinquantenne inglese avvocato, moglie e un segugio femmina di nome Penny al seguito. Nessun figlio. Dovrebbe essere pieno di lavoro, ma le cause e i tribunali e gli annessi principi del foro non interessano più a nessuno. Si preferisce sparare, o fare processi sommari affidati solo a giudici e legali d’ufficio. Gentaglia da due soldi in una pantomima di civiltà morente. Legge marziale, o qualcosa di molto simile, ma solo verso i non-tesserati, gli inutili.
Era la doppietta preferita dell’avvocato, ha detto. Erica me l’ha mostrata tronfante. Dice che può sempre tornarle utile. Non si sa mai, aggiunge, mentre le mostro come aprirla e caricare, anche se non ho cartucce a disposizione. Ad ogni modo, l’avvocato le ha assicurato che gli è rimasta una rivoltella della sua collezione, per difesa personale.
Io ho messo da parte il fucile, ho dato il gesso alla stecca e ho spaccato, chino sul biliardo verde e male illuminato.

Cinque giorni dopo aver perso la sua doppietta, l’avvocato si è sparato in bocca con la rivoltella. Non prima di aver sparato alla moglie e a Penny.
La villetta accanto a Erica adesso è libera. È la vigilia di Natale.
Zooey non sta bene. E non mi riferisco al lutto che ha subito. In questi due mesi, tutti abbiamo subito dei lutti. È emaciata, mangia poco e dice di sentirsi debole.
Il medico di zona viene a trovarla spesso. Due volte su tre fa dei prelievi a tutti gli occupanti della casa. Oltre me e lei, ci sono Richard, il suo agente che l’ha accompagnata a Londra con la geniale idea del rossetto da promuovere, e la fidanzata di questi, Jane. Non li considero molto. L’antipatia è reciproca. Dopo la morte del marito di Zooey, Jane è solita tentare di farmi sentire una merda lanciandomi occhiatacce. Non ci riesce. E questa cosa la fa andare su tutte le furie. Sono passati solo quattro giorni. Il mondo va veloce.
Quella di stasera è una festa grande. O quanto di più vicino alla grandezza si possa organizzare. Circa quaranta invitati, candele profumate e musica d’ambiente. Tartine e buffet. E vino e liquori a fiumi. Nessuna preghiera detta a voce alta. Per pudore, credo.
E, per una volta, buoni sentimenti. E speranze. La pandemia sta subendo una fase di contrazione. In tv, Cameron dice che il Regno Unito ha vinto un’altra guerra. Avvezzo alla vittoria…
Altrove, esperti osteggiati e messi in ridicolo dicono che è solo a causa del freddo.
Ma si brinda lo stesso. Mancano , però, i vassoi con le capsule di cianuro.
Zooey mi chiama da parte e mi dà il suo regalo. È un cofanetto piuttosto corposo, di una decina di centimenti di ampiezza.
Guardo i suoi occhi, gonfi e rossi di lacrime. Tenta di sorridere.
Mi bacia. Ha le labbra secche e la pelle umidiccia e calda.
Mentre vado su in camera da letto a prendere il mio regalo, apro il cofanetto. Un Rolex. Cinquemila sterline contro duecentoquaranta di foto stupide che lei adorerà comunque.
Ma non è quello a farmi battere il cuore di paura.

***

24 Dicembre 2013

Sogno spesso mio padre, morto tre anni fa. È ben vestito, elegante e ringiovanito. Di contegno serio, non severo. Passeggia lungo le strade vuote della mia città, nel sud Italia. Io sono solo un osservatore in questi sogni. Papà si porta a braccetto ogni notte un parente diverso, o un amico o un conoscente. Ogni notte uno diverso. Persone che io sapevo essere ancora in vita.
Non è un buon segno.
Chiusi nel Land-Rover. Un posto dove mai avrei immaginato di trascorrere la vigilia.
Sono stanco e lo è anche lei. Ho imboccato un sentiero campestre non asfaltato e ho accostato in un tratto fiancheggiato dagli alberi. La vegetazione è fitta, la temperatura poco sotto lo zero e c’è un sottile strato di neve. Con il freddo vanno lenti, e non ne abbiamo avvistati per chilometri, e questo da qualche ora. La benzina è poca, finiremmo col doverci fermare comunque fra venti, massimo trenta chilometri, magari all’aperto, in piena vista.
Meglio così. Dobbiamo riposare. Domani mattina decideremo il da farsi.
Assicuriamo le portiere. Sistemiamo dei panni a coprire i vetri già appannati, con ampie strisce di nastro per imballaggio. I fucili appoggiati tra sedili e cruscotto. Abbassiamo le spalliere e ci mettiamo un po’ più comodi. Più tardi dovremo dormire a turno, spalla contro spalla.
Dopo di ché osiamo accendere la luce. Non quella dell’abitacolo, ma alcune dinamo trovate nel negozio per campeggiatori che abbiamo saccheggiato. Quasi inutili a lunga distanza, ma efficaci a corto raggio.
E poi canne da pesca, esche finte, ami, tende, sacchi a pelo e moduli di gomma, borracce e gamelle e fornelletti ad alcool etilico e, soprattutto, vestiario da montagna in pile e scarponi anfibi da trekking.
Abbiamo camminato molto, negli ultimi giorni. Spesso abbiamo corso. Le chiedo di togliersi gli scarponi, uno alla volta. Non c’è bisogno che si congeli entrambi i piedi. Le sfilo il calzettone. Bolle e vesciche sparse, almeno una decina. Se continua così tra un po’ camminerà sulle ginocchia. Io non sono messo poi tanto meglio. Ci penserò dopo. Avremmo entrambi bisogno di una doccia calda.
Mi passa il kit del prontosoccorso, prendendolo dal cassetto all’altezza del sedile passeggero. Inizio a medicarle il piede. Niente di erotico o intimo. Proprio no.
A parte il nostro respiro, intorno a noi c’è quel silenzio ovattato, che prelude al nulla. È quello che terrorizza di più. Perché può finire.
La guardo.
Non mi ha mai raccontato cos’ha fatto per convincere il militare a lasciarla entrare nella tenda a prendermi, quel sergente che ci ha fatto uscire dal campo, disertando lui stesso. Non che i controlli, in tutto quel caos, con ondate di gialli ad assaltare le barricate, fossero così serrati. Si trattava di essere gialli, o non essere, come asseriva uno dei manifesti spargi-panico, come avevano preso a chiamarli. Uno raffigurante un teschio che fuma.  Il messaggio era semplice, se non sei giallo, sei morto. Sono bastati i piccoli gradi del sergente a convincere le sentinelle terrorizzate all’ingresso.
Siamo pari. Dal momento che neanch’io le ho mai raccontato perché da tre che eravamo, io, lei e il sergente, siamo rimasti in due.
“Wish we could have a better Christmas” sussurra, e poi aggiunge “And a drink, of course. A lot.”.
Sorride. E lo faccio anch’io.
Non capitava da quando è morta in quella tenda, con in faccia e negli occhi il colore della fine, quel fottuto giallo.

***

24 Dicembre 2015

Mi chiamo Hell. Usavo conciare il mio avatar come Babbo Natale. E questo è il mio regalo. Quando arriviamo al villaggio ha smesso di nevicare. È notte fonda. Diciassette ore per arrivare fin lì. È legata e imbavagliata. Le mie catene di costrizione. E sta dormendo, come una brava bambina, grazie al freddo e alla fame. I miei contro-incantesimi. Tengo sempre d’occhio il suo torace. Quando sta per svegliarsi, la sua frequenza respiratoria aumenta, e il petto inizia ad alzarsi e abbassarsi in fretta. Mi ricorda il respiro di un cane. È troppo debole, in ogni caso, anche solo per grugnire.
Lascio lo zaino e il fucile a terra. Tra le case quest’ultimo non è molto versatile. Porto con me solo un coltello, sistemato nella tasca del giaccone, con l’impugnatura sporgente.
L’ho trascinata su un letto di fronde di pino intrecciate e legate con dello spago. Ma in quell’ultimo tratto la porto in spalla. Mi avvicino alla costruzione dal retro, passando rasente al muro tra due file di edifici abbandonati. Molti altri sono stati incendiati. I portoni sono chiusi dall’esterno con catene robuste e lucchetti. Sono i moderni roghi per bruciare le streghe.
Gli abitanti in totale sono dieci, dubito ci siano altri ammalati. Questi sono tipi pratici. Lo hanno dimostrato.
Sono stato nascosto dietro alcune rocce sul crinale per un giorno intero a osservare i loro movimenti. Il prete vive solo. Poi ci sono cinque uomini, due donne e due ragazzine.
Due ragazzine…
Per bussare usano dei codici.
La poggio a terra, di fianco alla porta. Poi busso.
Dopo qualche minuto la serratura scatta, insieme al mio piede che colpisce la porta.
La apro facendomi strada all’interno. Il prete è finito per terra con le mani sul viso. Gli sferro un calcio sui testicoli. Questo gli toglie il fiato. Poi gli sono addosso. Lo colpisco sulla testa e sulla gola fino a quando non perde i sensi. Non ci vuole molto. Il prete è sulla sessantina e in ogni caso sembra messo male, visto che non offre alcuna resistenza.
Resto fermo per qualche istante, in ascolto. Nessun rumore. Il prete non si muove.
Esco a prenderla, guardandomi intorno. Non aspettano visite.
Quando rientro, chiudendomi la porta alle spalle, noto in un angolo della stanza un cestino di vimini. Sul cuscino al suo interno, un cucciolo di San Bernardo ancora addormentato.
Cerco la tv. La accendo insieme al decoder.
Una strega è sempre asservita al suo padrone. Sempre. Stupido io ad averlo dimenticato e a tentare di contrastare la sua natura, quando per riuscire a domarla era sufficiente divenire suo maestro. Così, persino il mio nome, dopo, guadagna spessore e significato.
Mentre andavo via, dopo averle tolto il bavaglio e averla slegata, le ho ficcato nella tasca della camicia lurida la foto, che fino a quel punto ho portato con me, dei bambini con le orbite vuote. Sono degli omuncoli, sapranno assisterla.
Ho afferrato anche il cane. Gesto stupido. Ma lei è lì, da sola, in una tenda nel mezzo del bosco, da tre giorni. Non sa che fine abbia fatto. E io devo portarle qualcosa che le scaldi il cuore.
Resto sul crinale per qualche ora, pensando a ciò che ho visto in tv, e nel frattempo, aspettando.
Gli uomini, fucili in spalla, arrivano puntuali ai primi chiarori. Bussano alla porta del prete. Non hanno risposta, sfondano.
Cominciano a urlare. Le leggende sui Gialli intelligenti, così, hanno sempre un fondo di verità
Me ne vado che ancora sparano. Poi, più nulla. Carla deve essere morta, ma di sicuro ha portato a molti di loro il suo dono.
Buon Natale, figli di puttana. Siate felici di poter morire per mano di una semplice strega, perché l’esercito che sta per arrivare è fatto di demoni.

fine quinto episodio

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