Già vi dissi, soliti lettori, che il gatto Momi mi capitò tra capo e collo mentre stavo vergando le canoniche quattro righe di recensione per Nothing, lavoro di studio dei Meshuggah datato 2002.
Oggi vi sorbirete dunque il povero scritto che feci all’epoca e che porta marchiate a fuoco alcune tra le tematiche favorite di Scribacchina: il senso della vita, la caducità dei giorni, la necessità interiore dell’uomo di realizzare – per quanto possibile – i propri sogni.
Tematiche tanto favorite che la sottoscritta riusciva (e riesce tuttora – oh, se ci riesce…) ad inserirle pure in contesti che c’entravano come cavolo a merenda.
Come Scribacchina possa riuscire in cotanta impresa, proprio non so spiegarmelo.
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Settembre 2002
Sono passati quindici anni da quando il blasonato Rolling Stone li consacrava «una delle dieci più importanti hard e heavy bands». Da allora, i Meshuggah hanno subito qualche modifica, sia nell’organico che nel sound: quest’ultimo, pur restando ancorato alle esperienze passate (ricordo Chaosphere del ’98 e la chicca dello scorso anno, Rare Trax), prende nuove sfumature e li consacra alfieri di quello che viene chiamato ‘cyber-thrash metal’.
Ascoltando Nothing, il loro ultimo lavoro di studio uscito nei negozi lo scorso 16 settembre, si possono riconoscere alcuni adeguamenti del combo a sonorità post‑epiche che in diverso modo caratterizzano l’approccio stilistico tipico dell’ultimo filone new metal. Fermi restando, chiaramente, gli stilemi della band: potenza vocale, rudezza della proposta, grande aggressività, energia e una particolare attenzione al messaggio (quindi a testi, parole, gestualità, espressione). Senza dimenticare il grande marchio di fabbrica dei Meshuggah, quel marchio amato‑odiato che va sotto il nome di ‘underground’. Già, perché ‑ usando le loro parole ‑ «anche se i palchi sui quali saliamo sono diventati, con gli anni, più grandi, la nostra musica è sempre puro underground».
I Meshuggah giocano sul titolo dell’album: «Le sei settimane di lavoro più intenso delle nostre vite personali e professionali hanno dato come risultato Nothing» (in italiano, «niente»). Un jeu de mots, ovviamente, ma anche una frase che fa apparire chiaramente quanto l’esistenza sia effimera. Quanto l’insieme di pensieri, speranze, soddisfazioni, poesie e… sì, anche di canzoni che tutti portiamo dentro percorra con noi solo un breve tratto di strada. Per poi morire e tornare ad essere Niente. Nothing.