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Messiaen, Dvořák e Beethoven: Poesia, Nazionalismo e Destino

Creato il 24 aprile 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Francesca Barnabà 24 aprile 2013 Messiaen, Dvořák e Beethoven: Poesia, Nazionalismo e Destino

«La meditazione è un lavoro della mente per riscaldare il cuore». Con Les Offrandes oubliées di Olivier Messiaen, eseguita insieme al Concerto in la min. per violino e orchestra, op. 53 di Dvořák e alla Sinfonia n. 5 in do min., op. 67 di Beethoven al Teatro Massimo Bellini di Catania, sembra davvero di vivere un lungo, mistico momento di riflessione. La ricerca musicale di Messiaen che prevede di far diventare la musica un luogo in cui poter manifestare l’atemporalità dell’Eterno, si condensa proprio nella sua prima composizione per orchestra, Les offrandes oubliées: attraverso la neutralizzazione delle dissonanze, la creazione di accordi liberi da qualsiasi forma di attrazione, il ricorso alla “gregoriana” isometria e, non meno importante, l’emancipazione del ritmo dal metro, Messiaen crea un effetto di “ritmo non misurato”, mentre al colore musicale affida il compito di richiamare alla memoria la luce divina, come una luminosa vetrata di una cattedrale gotica. La parola d’ordine, nel caso in questione, lo “strumento d’ordine” di tutto il brano è il lungo respiro dei primi violini: un respiro a tratti grave, straziante, interrotto dalla sonorità aggressiva degli ottoni, i quali, sotto la direzione di Marko Letonja hanno accompagnato il pubblico in una corsa verso il male, verso il peccato. Ma come ci si rialza sempre da ogni caduta, con Messiaen ci allontaniamo dall’abisso del peccato fino a raggiungere un’atmosfera eterea, mistica, di finale ricongiungimento con Dio.

Messiaen, Dvořák e Beethoven: Poesia, Nazionalismo e Destino

Dai toni meditativi di Messiaen si passa ad uno “scontro” orchestrale con Dvořák: il Concerto in la min. per violino e orchestra trasporta il pubblico nel folklore musicale slavo. La violinista Sayaka Shoji, nonostante la sua giovane età, riesce ad emergere in maniera preponderante sull’equilibrio solista-orchestra: non un dialogo quindi, ma uno scontro senza pari, nel quale, la sua grazia e la sua freschezza faranno da contraltare ad una grande preparazione tecnica. È proprio lo “scontro” la base ideale su cui Dvořák impianta l’idea del suo concerto attraverso una scrittura “dotta” e radicata nella tradizione europea che risente del nazionalismo musicale del compositore (ripresa dello spirito e del linguaggio del canto popolare). Dopo aver viaggiato attraverso i territori della Repubblica Ceca, si raggiunge la Germania concludendo questo itinerario artistico con la Sinfonia n. 5 in do minore. Nonostante quest’ultima si caratterizzi per la grande incisività espressa in maniera chiara sin dalle prime note, tanto da esser definita come “il destino che bussa la porta”, l’orchestra, diretta magistralmente da Letonja perde molto del pàthos caratterizzante l’opera, dilatando di molto i tempi di esecuzione, e rendendola priva della sua caratteristica universalmente riconosciuta: l’imperiosità, l’onnipotenza.

Messiaen, Dvořák e Beethoven: Poesia, Nazionalismo e Destino

La scelta di inserire la Sinfonia n. 5 come momento culminante del concerto trova la sua ragion d’essere proprio nel significato nuovo che Beethoven le dà, cioè quello di parlare all’intera umanità; il compositore considera la partecipazione al proprio tempo storico come componente essenziale dell’impegno artistico: ed è proprio in quest’ottica che dobbiamo interpretare questo capolavoro: una concezione drammatica dell’esistenza, dove si racconta la lotta eroica che l’uomo conduce contro tutto ciò che lo opprime e lo schiaccia, come il dolore o la mancanza di libertà; questa lotta porterà alla conquista di una condizione morale superiore, raggiungibile solo a prezzo di un impegno etico assoluto.

 

Foto di Giacomo Orlando per il Teatro Massimo Bellini

 


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