di Fabrizio Lorusso
In Messico e nel mondo si parla tanto degli oltre 20mila morti in 3 anni causati dalla guerra al narcotraffico e dalla militarizzazione lanciate dal presidente Calderon, ma ogni tanto tornano alla ribalta i conflitti sociali che vengono rispolverati dai media mainstream solo quando coinvolgono qualche straniero o fanno vittime eccellenti. Purtroppo le morti silenziose e la violenza endemica che regnano nel Messico profondo, così come lo ha battezzato l’antropologo Bonfil Batalla, sono sempre state una costante soprattutto nelle zone rurali più abbandonate dallo Stato. E’ proprio in questo Messico che è avvenuta l’imboscata contro la carovana umanitaria in cui il 27 aprile scorso hanno perso la vita la messicana Beatriz Cariño e il finlandese Jyri Haakkola, entrambi osservatori e difensori dei diritti umani, e sono stati feriti altri 15 attivisti in seguito a un attacco di un gruppo di paramilitari nel municipio autonomo di San Juan Copala, stato di Oaxaca.
La lacerazione del tessuto sociale, le guerre tra fazioni politiche, l’autoritarismo semi feudale, il cosiddetto caudillismo, e la povertà estrema sono ancora la normalità in immensi territori che sono completamente esclusi dalla modernità e dai cambiamenti politici ed economici che vive solo una parte del paese. Il Messico profondo, quello delle tradizioni indigene che cambiano e resistono allo stesso tempo e quello del meticciato imperfetto, riuscito solo a metà, continua quindi a soffrire e a cercare faticosamente un destino.
Alle 11 del mattino del 27 aprile è partita da Huajuapan de Leon una carovana composta da una cinquantina di persone in viaggio su varie jeep e automobili verso la località di San Juan Copala nel territorio conosciuto come “la mixteca” nella parte sud dello Stato di Oaxaca, una delle zone più povere del Messico e confinante con il Chiapas.
Si tratta di una regione aspra e montagnosa ad alta densità di popolazione indigena, soprattutto di etnia zapoteca, mixteca e triqui, in cui sono forti le simpatie nei riguardi degli esperimenti autonomisti portati avanti dalle comunità zapatiste e della “Otra Campaña”, “l’altra campagna” politica promossa dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e da uno de suoi più noti portavoce, il Subcomandante Insurgente Marcos alias delegado cero, in ripudio del sistema dei partiti tradizionali e in favore dell’autodeterminazione indigena.
La brigata umanitaria era formata da membri della APPO (Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca) e della sezione 22 di Oaxaca del sindacato degli insegnanti, da organizzazioni come Cactus (pro diritti umani) e Vocal (radio comunitarie), da osservatori internazionali di nazionalità italiana, finlandese, belga e tedesca, da giornalisti della rivista messicana Contralinea e da membri della Rete di Radio e Comunicatori Indigeni del Sudest Messicano.
L’obiettivo della carovana era di portare degli aiuti umanitari agli abitanti di San Juan dato che questi si trovano privi di corrente elettrica e sono assediati dal gennaio scorso dai paramilitari dell’UBISORT (Unione per il Benessere della Regione Triqui, gruppo fondato nel 1994 e legato al PRI, Partido Revolucionario Institucional). Il PRI rappresenta attualmente una forza di governo a livello nazionale in alleanza con il partito del presidente, il PAN (Partido Accion Nacional, di destra) e da quasi 80 anni è la forza politica dominante nello Stato di Oaxaca. Allo stesso PRI appartiene il governatore Ulises Ruiz, funzionario in carica dal 2005 e protagonista di una lunga serie di violazioni dei diritti umani e gravissimi atti repressivi durante i moti di protesta del sindacato degli insegnanti e della APPO nel 2006: il saldo dei suoi anni di governo parla di una decina di sparizioni forzate e almeno 62 vittime (26 di queste, tra cui il giornalista statunitense Brad Will, solamente nel biennio 2006-2007 durante le fasi più tese della protesta che portò a una vera e propria guerra civile nella città di Oaxaca).
L’assedio dell’UBISORT-PRI è stato già denunciato in varie occasioni dagli abitanti di San Juan Copala in quanto da mesi impedisce la realizzazione delle regolari attività nel comune, blocca l’arrivo di merci, l’accesso all’acqua e lo svolgimento delle lezioni nelle scuole oltre ad essere responsabile di numerose morti violente. In realtà la situazione è complicata e aggravata dalla presenza simultanea di altri due gruppi in lotta nella comunità indigena triqui di San Juan per cui anche la stessa UBISORT ha riportato una quindicina di morti tra i suoi militanti.
Da una parte c’è il MULT o Movimento Unificatore e di Lotta Triqui, attivo sin dagli anni 50. All’epoca della sua fondazione lottava per democratizzare l’esercizio del potere e nel 2003 s’è trasformato nel partito politico Unidad Popular, attualmente alleato del PRI. In seguito alla “scesa in campo” del MULT a livello elettorale e al suo progressivo allontanamento dagli obiettivi originari nasce il MULTI, il Movimento di Unificazione e di Lotta Triqui Indipendente, che è parte integrante della APPO e dal gennaio del 2007 gestisce le attività del comune di San Juan Copala secondo le modalità di autogoverno tracciate dai municipi autonomi del Chiapas zapatista.
San Juan è stato il primo territorio nella regione di Oaxaca a darsi questa forma di governo, fatto che è sgradito alle autorità statali e agli altri due gruppi che prima si spartivano il potere indisturbati. In pratica grazie al sostegno della APPO e del sindacato degli insegnanti il MULTI occupa l’edificio del comune e governa il centro del paesino mentre l’UBISORT-PRI e il MULT controllano gli accessi e le alture circostanti in cui né l’esercito né la polizia possono mettere piede.
Verso le tre del pomeriggio proprio dove comincia il loro territorio e finisce la strada asfaltata tra il capoluogo Santiago Juxtlahuaca e San Juan Copala, presso la zona denominata “La Sabana”, è stata messa in atto l’imboscata di 15 uomini armati e incappucciati dell’UBISORT contro gli attivisti che ha provocato 2 morti, 15 feriti e numerosi dispersi che sono riapparsi a poco a poco nei giorni seguenti dopo essere sfuggiti ai paramilitari rifugiandosi sulle montagne. Il recupero dei cadaveri è stato possibile solo 48 ore dopo la sparatoria quando sessanta poliziotti hanno circondato i veicoli rimasti sulla strada che erano perforati da decine di pallottole. L’accesso alla stampa è stato proibito in tutta la zona. Meno di mille abitanti, qualche risorsa mineraria e un’orgogliosa tradizione linguistica e culturale formano il patrimonio di San Juan Copala, una comunità sconvolta da decenni di lotte intestine e becero autoritarismo che l’esperimento autonomista cerca di emendare malgrado le divisioni interne e le ingerenze esterne.
Forte della connivenza dell’autorità statale e del clima d’impunità imperante il capo dell’UBISORT, Rufino Juarez, aveva addirittura minacciato rappresaglie contro chi avesse osato attraversare la zona senza il suo consenso, ma tali dichiarazioni non avevano fermato i militanti della carovana. In effetti l’assenza totale di soluzioni ai conflitti e di giustizia nei numerosi casi di omicidio nella regione triqui hanno nel tempo giustificato una situazione incontrollabile di arbitrarietà e violenza paramilitare e parastatale gravissima che abbiamo sperimentato di nuovo con questa mattanza. L’UBISORT ha dichiarato che non si tratta di una strage ma di un “auto-attentato” auspicato e organizzato dal municipio autonomo (e dal suo referente politico, il MULTI) per attirare l’attenzione. Anche il MULT s’è allineato e ha accusato il MULTI dell’attentato. Dal canto loro gli insegnati di Oaxaca e la APPO hanno diffuso comunicati a mezzo stampa in cui condannano la strage di San Juan, attribuiscono la responsabilità dell’attentato e dell’insicurezza nella zona al governatore e chiedono giustizia. La manifestazione del primo maggio in città s’è fatta portavoce della richiesta di un chiarimento giudiziario immediato in merito ai fatti del 27 aprile insieme alla consueta lista di rettificazioni salariali e al pieno adempimento delle direttive sancite dalla suprema corte di giustizia messicana in seguito alle comprovate violazioni dei diritti umani contro la popolazione oaxaquegna nel 2006 (Storia del movimento a Oaxaca: http://lamericalatina.net/category/oaxaca/page/3/).
Il 4 luglio prossimo ci saranno a Oaxaca le elezioni per il rinnovo del parlamento locale e del governatore e la posta in gioco è alta visto che questa volta il candidato dell’opposizione, Gabino Cuè, sembra in grado di poter sconfiggere Eviel Perez del PRI che cerca quindi di rafforzare i suoi centri di potere e di reprimere la dissidenza. Storicamente le annate elettorali e i mesi di campagna sono infatti caratterizzati da escalation di violenza e proteste sia quando sia a livello nazionale che a livello locale. L’idea che la tragedia di San Juan possa servire in modi diversi a entrambe le coalizioni per screditare l’avversario e capitalizzare voti e consensi fa rabbrividire ma è comunque un’ipotesi concreta che lentamente prende forma. La APPO e la sezione 22 del sindacato non sono dei partiti politici ma sono sicuramente anti-PRI e anti governativi e ora hanno un motivo legittimo in più per attaccare Ulises Ruiz essendo stati attaccati direttamente. La coalizione di Gabino Cuè formata da PAN e PRD sta già screditando il PRI per quanto è accaduto mentre quest’ultimo recita la parte dell’innocente e accusa il municipio autonomo di San Juan Copala di provocare la violenza.
Rispetto alle prese di posizione di questi interlocutori il governatore Ulises Ruiz s’è limitato a mentire sostenendo di non essere stato informato della carovana, in palese contraddizione con quanto certificato da alcuni avvisi inviati con sufficiente anticipo dagli attivisti e dal sindacato alla polizia di Oaxaca. Ruiz ha inoltre sfoggiato una perla della sua cultura arretrata e burocratica dichiarando ai giornali che la presenza di stranieri e difensori dei diritti umani a Oaxaca è “cosa strana” e chiedendosi “che cosa ci stessero facendo lì degli stranieri che non sappiamo se siano turisti o che tipo di permesso di soggiorno abbiano”.
Una nota sul contesto. Ogni volta che in Messico uno straniero viene coinvolto in una qualunque situazione “critica” o politica, ci si appella all’articolo 33 della costituzione che prevede la possibilità d’espulsione per le persone “non grate” o che realizzano attività politiche nel paese ed è spesso gioco forza fare leva su un diffuso sentimento nazionalista e sulla colpevolizzazione dello straniero per sviare l’attenzione. Quando finì la Rivoluzione messicana nel 1917 l’articolo 33 venne pensato in funzione antiamericana per evitare qualsiasi tentativo di ingerenza esterna che compromettesse seriamente la sovranità del paese mentre oggi viene spesso utilizzato per espellere gli “indesiderati” stranieri simpatizzanti dei movimenti sociali tanto che durante un dibattito è comune sentirsi dire più o meno scherzosamente la battuta “stai zitto o ti applichiamo il 33″. Nel caso di San Juan Copala è morto un europeo (oltre a una messicana), ci sono pistoleri e paramilitari a piede libero protetti dal PRI, inoltre l’ambasciata finlandese, Amnesty International, l’ONU e decine di associazioni nazionali ed estere hanno denunciato il governo di Oaxaca e quello messicano per l’insufficiente rispetto dei diritti umani e la prima dichiarazione che ottengono è in realtà una richiesta di spiegazioni circa il tipo di permesso di soggiorno o la “strana” presenza di stranieri in una carovana pacifista mitragliata a sangue freddo.
By CarmillaOnLine Featuring LAMERICALATINA.NET
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