La prima metà del mio percorso fu relativamente indolore. Gli effetti collaterali (nausea, vomito e stanchezza in primis) si limitavano ai primi due giorni dopo la chemio e, talvolta, a sporadiche vomitate a distanza di una settimana dalla terapia. Io mi sentivo meglio di quanto non osassi sperare e in un angolo della mia mente avevo paura che non durasse così ancora per molto. Era troppo bello per essere vero. Attorno alla quinta chemio, iniziai ad avere i primi veri problemi. I capelli si stavano diradando, le emorroidi erano terribili e la nausea si faceva piuttosto pressante. Fisicamente, iniziavo a stancarmi con facilità. Iniziavo a risentire del fatto che le mie uscite dovevano necessariamente essere limitate, di non poter ricevere visite da chi era anche semplicemente raffreddato, di non poter andare all’università. L’immunodepressione, come prevedibile, arrivò presto. Il mio sistema immunitario era un colabrodo. I fattori di crescita fi occavano. Il fattore di crescita, per quanto dal nome possa sembrare, non è il fungo incantato che faceva crescere a dismisura Alice nel suo viaggio nel Paese delle Meraviglie. Era quello che tirava un po’ su Romina nel Paese delle Chemioraviglie. Fattore di crescita è una defi nizione generica che indica in realtà diversi tipi di farmaci usati in molti casi diversi. Nello specifi co, si tratta di un farmaco che si somministra tramite iniezione sottocutanea e che, agendo sul midollo, ha lo scopo di stimolare la produzione di globuli bianchi. L’ideale per chi, come me all’epoca dei fatti, si ritrovava a subire un vero e proprio genocidio di globuli bianchi. L’effetto collaterale principale è il mal d’ossa. Il più delle volte mi facevano male le gambe e il bacino. Spesso anche le braccia, in ogni caso le ossa lunghe, dal momento che sono loro a produrre i globuli bianchi. Il più delle volte, tra una terapia e l’altra, dovevo fare un paio di fattori di crescita, a volte ne ho fatti anche tre. Il fastidioso mal d’ossa si protraeva per alcune ore e per risolvere l’inconveniente avevo trovato una soluzione piuttosto semplice: facendo la puntura prima di andare a dormire potevo far agire il farmaco durante il sonno. Stando ferma sentivo meno fastidio e dormendo come un sasso (oh, sì, avevo ripreso a dormire alla grande!) non badavo al fastidio. La mattina mi svegliavo un po’ accartocciata ma relativamente in forma. Tra gli altri farmaci che dovevo prendere, quello che mi indispettiva di più era l’eparina, un anticoagulante anche questo somministrato tramite iniezione sottocutanea. Non so perché ce l’avessi tanto con l’eparina, forse perché dovevo farla un giorno sì e uno no. Forse perché non mi piaceva fare le punture sulla pancia e sulle cosce così mi ritrovavo le braccia piene di bozzi e lividi. Non avendo mai voluto imparare a farmi le iniezioni da sola, era mamma ad occuparsene. Confesso che cercavo ogni volta di far fi nta di nulla, nella speranza che a mia madre passasse di mente che dovevo fare la puntura, ma, ovviamente non se ne dimenticò mai. Il tempo passava e le chemio anche. Il dodici novembre festeggiai il mio ventiduesimo compleanno. Vennero a trovarmi molte persone e ricevetti in regalo più di un cappello. Nel frattempo, iniziavo ad essere sempre più stanca. Stanca fi sicamente, d’altra parte l’astenia fa parte degli effetti collaterali delle cure, e stanca psicologicamente. Ero solo a metà strada e già ero stufa e arcistufa. Si vedevano i primi segni di cedimento. Quando dovevo fare chemio, iniziavo a vomitare già la sera prima. Vomitavo non appena mi sedevo sul lettino del day-hospital. Non mi piaceva la piega che stavano prendendo le cose. In breve, con un colpo di reni, tornai ad essere quella di sempre. Avevo avuto un attimo di crollo, ma non avevo intenzione di concedermene altri. Mancava ancora parecchio alla fine delle cure e non potevo lasciarmi andare con così largo anticipo.
Poi arrivarono le feste natalizie…ma quella è un’altra storia…