“Insegnare l’etica delle botte non è facile in carcere, soprattutto di prima mattina. Nell’ora d’aria si impara a gestire la propria aggressività, a prendere colpi stando nelle regole. Il rugby in questo senso è una scuola di vita”.
Juan Ignacio Merlo ha 30 anni, gioca terza linea e ha preso il patentino di allenatore. Da tre anni ha deciso di insegnare, ogni sabato mattina, rugby ai detenuti del carcere minorile Beccaria a Milano. Per due ore raccoglie i ragazzi in cerchio e, con il fare di chi è cresciuto
a pane e palla ovale a Santa Fé in Argentina, insegna regole e movimenti. «Voglio che i ragazzi si divertano imparando la disciplina», racconta Merlo. Nel 2007, dopo un passaggio in serie A a Benevento, è arrivato all’Às Rugby Milano, con cui porta avanti il «Progetto Ovale» al Beccaria, aiutati dagli sponsor Edison, Iveco, Àdidas e Bananas.
La cosa più difficile è formare un gruppo dato il turnover di chi entra, esce o viene trasferito, ma i ragazzi sono sempre di più, anche 15, di nazionalità diverse. Soprattutto sudamericani, di paesi dove la cultura rugbista sta a zero. Da qualche mese sono una
squadra a tutti gli effetti. Un sondaggio interno ha deciso di chiamarla «Freedom Rugby».
Oggi, per sfidarli, Ignacio ha convocato i compagni dell’As Rugby. Il campo è un po’ spelacchiato, comunque bello. A parte le porte da calcio al posto dei pali per giocare a rugby, c’è tutto. Ogni volta servono casacche più grandi, perché i ragazzi in palestra ci danno dentro e il rugby non è roba da maglietta attillata. Arrivano già cambiati dalle celle, Ignacio fa l’appello come a scuola. Sul registro segna i numeri di scarpe e appena può consegna quelle che attraverso la «campagna dell’usato» sono riusciti a recuperare. Un tifo
disordinato esce da dietro le sbarre. Un ragazzo ha dimenticato il paradenti. Glielo tirano dall’alto di una cella in cambio della promessa di una meta.
Ignacio sembra un Robin Williams molto più largo di spalle sui banchi dell’Attimo Fuggente». Chiede ai ragazzi cosa significhi la parola rugby. E loro rispondono, in coro: «Collettivo, volontà». Ricorda il rispetto delle regole: «Devono capire che come nella vita, l’arbitro è un essere umano che può sbagliare, ma non importa: quello che decide è legge».
Poi prende le maglie e una alla volta le consegna: tutti applaudono, soprattutto i ragazzi che per la prima volta scendono su questo campo.
«Il rispetto della maglia è una cosa fondamentale, anche dentro a un carcere dove il senso di condivisione e appartenenza è cosa rara», spiega. «Loro menano e ci tengono che noi facciamo lo stesso: se non placchi e giochi per finta si offendono», racconta Matteo Mizzon, tra i più attivi nel progetto. Durante la partita Ignacio non smette di allenare i suoi ragazzi anche se ci sta giocando contro. «Voglio che imparino a giocare di squadra. Capisci che stai facendo qualcosa di buono quando li vedi incassare duri colpi sul campo e rialzarsi in silenzio».
Nell’intervallo i ragazzi sono abbracciati in cerchio e lo ascoltano. «Ti ringraziano perché sentono che gli hai dato qualcosa: quando sono venuti in visita al Beccaria alcuni All Blacks (la mitica nazionale neozelandese, ndr), al momento della firma sulle maglie hanno voluto anche la mia all’altezza del cuore».
Per la cronaca, oggi l’As Rugby ha vinto 7 mete a 5, sotto gli occhi felici della direttrice del carcere Daniela Giustiniani. L’ora d’aria sta finendo, c’è spazio solo per un terzo tempo spartano. Basta un tavolino con torte e qualche bibita. Tutti vogliono sapere quando sarà la rivincita. A suon di allenamenti stanno crescendo. Un ragazzo ceceno che ne ha date tante e prese di più si avvicina a Ignacio: «Posso lasciarvi i miei dati, fra un mese sono fuori e voglio ricominciare dal rugby». Lui prende nota ma sa che il reinserimento sarà duro, il rugby è sforzo quotidiano, un atto di fede.
Mete al Beccaria, il “derby” particolare tra Freedom Rugby e As Rugby Milano
Creato il 25 marzo 2012 da Ilgrillotalpa @IlGrillotalpaPossono interessarti anche questi articoli :
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