Meteora

Creato il 06 settembre 2013 da Eraserhead
PVC-1 (2007), per impostazione e realizzazione, è stato uno dei film più fottutamente esaltanti che il sottoscritto abbia mai visto. Ad un lustro di distanza il regista greco (di madre colombiana) Spiros Stathoulopoulos ritorna in scena con Metéora (2012), ma è tutta un’altra storia: se nella folgorante opera prima i livelli di adrenalina raggiungevano picchi clamorosi grazie ad un’adesione pressoché totale al reale, qui la via di trasmissione scelta è distante eoni dal piano sequenza e dalla sua capacità di farci assorbire dal e nel film; si naviga per antitesi, Stathoulopoulos sceglie una via pseudo-contemplativa con camera fissa, campi lunghissimi, dialoghi risicati ed astratti. Viene quasi da dire che PVC-1 sia il film riguardante la seconda parte della sua infanzia poiché all’età di otto anni si trasferì in Colombia con la famiglia, mentre Metéora incarna il primo periodo della sua vita, dalla nascita (avvenuta a Salonicco) alla partenza verso il Sud America.
Vi è una buona percentuale di disorientamento nell’assistere ad un cambio di rotta così smaccato, superata l’impasse si può prendere nota di qualche elemento: sicuramente Stathoulopoulos è uno che ha studiato e che sa rendere un set l’occasione giusta per lasciare un segno, soprattutto (e qua c’è la conferma) sul piano visivo perché Metéora si plasma negli interni del monastero a lume di candela combinati a riprese esterne di forte impatto. Buona parte del merito va alla location in sé che è davvero straordinaria (si tratta del complesso ortodosso situato nella regione della Tessalia), ma i meriti non possono andare soltanto a Madre Natura visto che il regista sa cogliere ed implementare la bellezza del luogo attraverso scorci e prospettive affascinanti. Non ci si ferma all’apparato paesaggistico/fotografico però, Stathoulopoulos sperimenta e inserisce nella diegesi un’animazione iconografica, proprio come se delle icone religiose prendessero vita, che ovvia brillantemente a delle difficoltà tecniche (quale modo migliore per illustrare un mare di sangue [tra l’altro il passaggio più ardito del film] o un orso inferocito?) e che ben si innesta donando un tocco di originalità.
Che cosa manca allora? Possibilmente tutto il resto, o meglio quello che più preme: questa infatuazione tra il monaco e la suora dirimpettaia non si accende, ma, e ora rischiamo di finire in un circolo vizioso, è Stathoulopoulos stesso che non sembra affatto interessato ad aizzare tale sfera sentimentale, e al contempo il possibile nucleo di tutto, lo scontro amore-fede, la carnalità versus la spiritualità, viene appena sfiorato (c’è solo una sequenza dove in un crescendo di campane si intuisce il potere inquisitorio del convento verso la suora) sviando altrove, anche oltre la desacralizzazione (solo una pala che alla fine ha “smarrito” i due soggetti laterali) e la blasfemia (ci si può indignare per due religiosi che copulano? Ma andiamo!), specchiandosi nello stile (senza infastidire) e celebrando la geografia. Uno ieratico Stathoulopoulos (ieraticamente concentrato dall’inizio alla fine ad esclusione della sequenza in cui viene sventrata una capra) regala Immagini, cellule indispensabili del mosaico-cinema, non ce lo aspettavamo in modo così potente tanto che la sorpresa ripiana le eventuali mancanze. Adesso pare che si sia stabilito a Los Angeles e che voglia girare in America, noi, manco a dirlo, lo attendiamo ad occhi ben aperti.

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