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Metodologia di un assiduo lettore – di N. Losito

Creato il 27 maggio 2013 da Nictrecinque42 @LositoNicola

Ormai da una settimana ho terminato il libro L’arte della gioia di Goliarda Sapienza (1924-1996), eppure sono ancora indeciso se recensirlo o se spettegolare unicamente su di me che ho avuto l’infinita pazienza di leggerlo fino in fondo. Intanto comincio col dire che sono un lettore compulsivo e che vado spesso in libreria in cerca di novità. Mi piacciono soprattutto i romanzi (italiani e stranieri), evito accuratamente i saggi (mi annoiano a morte), non acquisto libri di poesie (mi basta leggere su Internet quelle più belle, consigliate da amici) e, per finire, colleziono comics italiani e americani.

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Per darvi un’idea più precisa della mia metodologia di lettore, aggiungo che assomiglio parecchio alla gentile signorina dell’immagine che avete davanti agli occhi. A me piace leggere a letto la sera tardi quando tutti dormono e, in casa e fuori, c’è silenzio. La testa appoggiata a un comodo cuscino, la pancia all’insù e il libro tenuto con una mano o appoggiato al petto, se è troppo pesante. Questa è la mia posizione ideale di lettura ed è anche il modo in cui crollo addormentato dopo un’intensa giornata di fancazzista laboriosità.

Forse qualcuno si starà chiedendo se parlare dei metodi di lettura c’entra qualcosa con L’Arte della gioia: ebbene sì, un legame c’è e, forse inconsciamente, proprio l’avere letto questo libro mi ha spinto ad affrontare l’argomento del post odierno.

Modesta Brandiforti, la protagonista del romanzo di Goliarda Sapienza, per uscire dalla sua originaria bassa condizione di vita (nasce da famiglia poverissima) imparerà a leggere ormai grandicella e, da quel momento in poi, passerà buona parte dell’esistenza a divorare libri su libri, affascinata dal significato di milioni di parole a lei sconosciute, sicura che, appropriandosene, potrà salire rapidamente la scala sociale e stupire/guidare chi le sta intorno. Anch’io sono un assiduo lettore, infatti non c’è giorno che, prima di addormentarmi, non legga un certo numero di pagine di un libro che, con costanza autistica, tengo appoggiato sul comodino di fianco al mio letto.

A differenza di Modesta, però, io nasco da una famiglia così attenta all’educazione dei propri figli da costringere mia sorella e me a studiare sodo per arrivare alla laurea nei tempi canonici. In casa nostra c’erano pochi libri ma tutti di valore: ricordo I Miserabili di V. Hugo, una preziosa Divina Commedia illustrata da Dorè, il libro Cuore di De Amicis e altri edificanti romanzi per ragazzi e, soprattutto, Il Nuovissimo Melzi, edizione anni trenta o giù di lì, sulle cui pagine ho passato interi pomeriggi a guardare le figure (disegni accuratissimi) scoprendo i mille personaggi storici che poi avrei affrontato a scuola. Durante le tre gravidanze di mia moglie ho iniziato a leggere con assiduità dei libri (romanzi italiani, in gran parte) esplorando a fondo Cassola, Berto, Campanile, Biagi, Bevilacqua, Moravia e tanti altri autori più o meno noti. Dopo la nascita dei tre figli ho praticamente smesso di leggere. Ho ripreso in mano un libro il giorno in cui ho raggiunto la pensione. In seguito ho macinato diverse centinaia di libri, sfruttando ogni momento della giornata che potevo dedicare a me stesso. Ultimamente ho rallentato parecchio. Leggo solo a tarda sera, ma sempre con testarda regolarità. Crollasse il mondo, anche se sono stanco per qualche occasionale attività fisica, non posso evitare di immagazzinare nella mia testa, ogni notte, almeno venti-trenta pagine di un libro.

Con quale esito?

Vorrei evitare di rispondere a questa domanda ma, visto che oggi ho deciso di mettere a nudo una parte di me, devo confessare che i risultati di queste letture notturne sono abbastanza scarsi. Finito un libro, infatti, in memoria mi rimane ben poco. La trama e i nomi dei personaggi li dimentico nel giro di qualche giorno. Per fortuna le sensazioni positive o negative che ho provato durante la lettura di un testo sedimentano ancora per molto tempo nella mia mente. Infatti, se qualcuno mi chiede un parere su ciò che ho letto in questi ultimi anni, ho sempre la risposta pronta, nel senso che so dirgli se un certo libro è valido oppure no, ovviamente basandomi sui miei personali gusti. Un trucco che uso oggi per evitare brutte figure é quello di scrivere da qualche parte una breve recensione o un riassuntino del libro che ho appena terminato di leggere.

A questo punto basta confessioni personali: è arrivato il momento di dirvi cosa penso del romanzo di Goliarda Sapienza.

Arte della Gioia
 

Edizione Einaudi – Supercoralli – Euro 14,50  

Prima, però, devo fare delle precisazioni: il libro in questione è un volume di 511 pagine, diviso in 95 capitoli stampati in piccolo (corpo 10) e, per terminarlo, ci ho impiegato un mese e mezzo, leggendo circa due capitoli a sera. Essendo una saga famigliare sviluppata lungo quasi un secolo con un gran numero di personaggi, è ovvio che a un certo punto sono andato in confusione perché non riuscivo più a collegare i figli e le figlie alle relative madri e ai rispettivi padri e, naturalmente, sono finite nel dimenticatoio le tracce di buona parte dei tanti avvenimenti narrati nel romanzo.

Roba da morire di vergogna! Comunque, sono ancora in grado di dirvi se questo libro è valido oppure no…

Purtroppo non posso sbrigarmela in due parole, ma devo articolare il mio giudizio. Da subito ho capito di avere fra le mani un testo non facile da seguire: ci sono alcuni inspiegabili salti temporali e la voce narrante, di tanto in tanto, passa dalla prima persona alla terza, spiazzando chi legge. In alcuni dialoghi il dialetto siciliano è faticoso da comprendere e, infine, c’è un eccessivo uso della tecnica teatrale di anticipare il nome di chi parla quando ci sono conversazioni fra più persone. Questo mi ha portato a pensare che stavo affrontando un romanzo poco omogeneo nella stesura, complesso nella trama e abbastanza irrisolto da poterlo apprezzare in toto.

Dunque non è un romanzo da consigliare?

Sarebbe sbagliato se affermassi categoricamente una cosa del genere. Nell’Arte della gioia  ci sono pagine e pagine stupende, davvero godibili dove la sperimentazione linguistica stupisce per la sua grande efficacia narrativa. Colpisce come un pugno nello stomaco il modo in cui Goliarda Sapienza affronta argomenti spinosi come  l’amore lesbico, la masturbazione femminile, vista come atto purifico e consolatorio e, se non ricordo male, arriva persino a giustificare  l’incesto. A suo dire, tutto è lecito se si ama qualcuno e a letto non esiste alcun limite alla libertà di azione degli esseri umani. Modesta, infatti, conoscerà intimamente diversi uomini e diverse donne, senza farsene un problema e verrà assolta dalla scrittrice, a dispetto di qualsiasi giudizio morale, anche se, per raggiungere i suoi fini, non esiterà a progettare e favorire la morte prematura sia della madre superiora del convento in cui viene accolta da bambina, sia della nobildonna che, una volta uscita dal convento, la ospita nella sua grande villa e affida a lei, e non alla propria figlia, la gestione finanziaria della casa e delle altre proprietà terriere.  Modesta si innamora delle idee anarcoidi e marxiste di uno dei suoi primi amanti e su queste fonderà tutta la sua esistenza. Lotterà a viso aperto contro il fascismo emergente e, pur di non ripudiare la sua avversione al regime, andrà in prigione e lì rimarrà fino alla fine della guerra. Durante la prigionia vivrà un’intensa storia d’amore con una detenuta, sua compagna di cella, e tale legame affettivo continuerà finché, ormai anziana, Modesta sposerà Marco, un medico che la porterà a girare il mondo e le starà accanto fino alla morte. Le ultime righe del romanzo sono trancianti e meritano di essere citate:

No, non si può comunicare a nessuno questa gioia piena dell’eccitazione vitale di sfidare il tempo in due, di essere compagni nel dilatarlo, vivendolo il più intensamente possibile prima che scatti l’ora dell’ultima avventura. E se questo mio vecchio ragazzo si stende su di me col suo bel corpo pesante e lieve, e mi prende come ora fa, o mi bacia fra le gambe proprio come Tuzzu faceva allora, mi trovo a pensare bizzarramente che la morte forse non è che un orgasmo pieno come questo.

- Dormi Modesta?

- No.

- Pensi?

- Sì.

- Racconta, Modesta, racconta.

Che dire di più di questo libro?

Se lo leggerete, incontrerete vivide pagine di amore e sesso libero, tante pagine di storia e politica, raccontate – a mio parere – con le voci di un’unica parte e mettendo schematicamente i buoni nel proprio entourage e i cattivi solo fra i fascisti, bellissime pagine descrittive dell’assolata terra di Sicilia, insomma troverete di tutto un po’. Nella prefazione di Angelo Pellegrino e nella postfazione di Domenico Scarpa, si afferma che siamo al cospetto di un vero e proprio capolavoro. Giudizio, questo, che trovo un po’ eccessivo. Ho letto altre recensioni su Internet e qui i giudizi si dividono con equità tra positivi e negativi. Vi elenco quelli negativi per completezza di informazione: un libro infarcito di ricordi di vita del tutto irreali; romanzone immorale, anticlericale e massimalista, dove l’antifascismo praticato è quello tipico dei salotti radical chic; un romanzo adatto per essere pubblicato a puntate su Grand Hotel (un settimanale femminile, nato nel 1946, basato su storie d’amore disegnate a fumetti e molto amato dalle casalinghe depresse del dopoguerra) e, infine, un lungo romanzo epico mancato.  La grande varietà di giudizi sta a significare che L’arte della gioia non è un libro insignificante. Anzi, io scommetto che ad alcuni di voi potrà piacere moltissimo. Qualche critico d’oltralpe – conquistato dal vento caldo della Sicilia che s’intrufola tra le pagine del libro – è arrivato a paragonarlo al Gattopardo.

Goliarda Sapienza (un nome che è tutto un programma) ha impiegato nove anni (dal 1967 al 1976) per realizzarlo (troppi, e forse da questo deriva una certa disomogeneità fra le quattro parti del romanzo), e ha sofferto parecchi rifiuti dalle maggiori case editrici nostrane. Solo dopo la sua morte è stato pubblicato in Italia nella versione completa. Ha, invece, avuto un buon successo di critica e di pubblico in Germania, Francia e in Spagna. Oltre a questo, Goliarda Sapienza ha pubblicato Lettera aperta (1967), Il filo di mezzogiorno (1969), L’Università di Rebibbia (1983) e Le certezze del dubbio (1987).

C’est tout.

Nicola

P.S.

L’immagine della lettrice è firmata in calce dall’autore. La copertina del libro è una mia scansione.‘

 


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